A te la scelta (sempre tu voglia farla)
Come volontà di scoperta e limitazione della fatica di scelta hanno reso TikTok quello che è oggi.
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Oggi parliamo di video e in particolare del valore della scoperta e dell’impatto della fatica, anche di scegliere.
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La libertà di scelta ha un peso, anche nella fruizione di canali e contenuti
Viviamo immersi in una quantità smodata di contenuti. Amen. Una larghissima parte di questi, in continua crescita, è rappresentata dai video. Non è quindi casuale che ci si soffermi così spesso a ragionare sull’evoluzione che essi possono avere: formati, lunghezza, funzionalità, temi. Elementi tra cui individuare (se mai esista) una formula utile a creare video sempre più in linea con ciò che gli utenti vogliono vedere o si aspettano, così da ottenere performance migliori, siano esse in termini di visualizzazioni o interazioni.
Ma il problema sta tutto qui: nel cosa vogliono vedere, o meglio, nel come. Nella sfida tra piattaforme (YouTube, Instagram, TikTok), siamo spesso troppo impegnati a guardare nel posto sbagliato. Concentriamo le nostre riflessioni su lunghezza o qualità per definire quale sia la piattaforma più funzionale o su cosa puntare lato utenti, ma non è questo il punto.
Prendiamo ad esempio la qualità. Cosa significa oggi “qualità”? Difficile rispondere. Molto difficile. Ciò che fino a ieri definiva un video di qualità è oggi radicalmente cambiato, rivoluzionato. Basti pensare a TikTok. Mi verrebbe da dire che “qualità” significa “funzionale per gli utenti”, ovvero capace di trattenerli e farli interagire. Tuttavia, molti potrebbero obiettare. E forse a ragione.
Ma al di là dell’impatto di TikTok sull’estetica, evidente, non comprendiamo che ciò che davvero ha decretato il suo successo è ben altro: la scoperta. TikTok, grazie alla sua struttura e user experience, ha un pilastro unico e chiaro: rendere più facile per le persone trovare cose nuove e interessanti. Facile, anzi facilissimo.
Che questa necessità di scoperta sia trainante nell’uso dei social ce lo confermano i dati. Tra le principali ragioni di utilizzo dei social per gli italiani, secondo GlobalWebIndex, troviamo:
Leggere nuove storie: 47,5%
Passare il tempo libero: 47,3%
Restare connessi con amici e familiari: 44,4%
Trovare ispirazione: 31,3%
Trovare contenuti d’interesse: 29,8%
Se su TikTok questa spinta all’esplorazione è centrale e immediata, su YouTube, invece, troviamo una homepage piena di titoli e miniature tra canali, creator e brand che seguiamo e alcuni consigliati. Bene, ma ciò aumenta la fatigue dell’utente, che deve fare una cosa bellissima, ma impegnativa: scegliere. Una scelta che si scontra con il problema dell’abbondanza, la stessa che ci porta a passare ore su Netflix semplicemente a decidere cosa guardare, erodendo gran parte del tempo dedicato alla visione o confinandoci nei nostri (presunti) gusti e interessi.
Su TikTok, invece, entro e non solo vedo subito qualcosa, ma soprattutto non ho il peso della scelta. È l’algoritmo che sceglie per me. Una fatica ridotta al minimo, che continua: su YouTube devo scegliere il secondo e poi il terzo video, e così via… su TikTok basta scorrere il dito. Una semplicità che limita anche l’impatto di eventuali errori dell’algoritmo: se non mi piace qualcosa, basta un colpo di dito e passo al contenuto successivo, forse migliore, probabilmente più in linea.
Un’offerta illimitata e semplice. Ecco il segreto. Un’offerta che funziona non tanto perché è on-demand, quanto per il suo essere personalizzata e fruibile con uno sforzo minimo. Scelgo TikTok soprattutto per questo. Solo in un secondo momento arriva la “qualità” di ciò che vedo. Ma questa, più che influenzare la scelta della piattaforma, incide sulla fruizione dei video: tempo di visualizzazione e interazioni, in primis.
Per questo, come spesso scrivo, è determinante lavorare anche per l’algoritmo, affinché i nostri contenuti entrino in questo flusso semplificato e accessibile. Perché un video è “super” solo se viene visto; altrimenti è come una pepita d’oro sepolta. Ma mentre una pepita ha “tempo” per essere scoperta e fruttare, i nostri video, data la brevissima “vita” sui social, se non sono fruiti rapidamente spariscono.
Le sfide più rilevanti oggi, legate ai contenuti, sono infatti due: da un lato, dare rilevanza ai nostri contenuti, affinché abbiano un peso importante nella vita digitale (e non solo) degli utenti; dall’altro, farli emergere nello scrolling infinito, così che possano essere trovati, scoperti, fruiti e apprezzati. Un circolo virtuoso in cui ogni step ha lo stesso valore, ma soprattutto dove ognuno è propedeutico all’esistenza di quello successivo.
Non è un caso che LinkedIn, ad esempio, sia andato in questa direzione con la nuova sezione video, mettendo al centro scoperta e facilità di fruizione. Lo stesso vale per YouTube, che sta testando funzionalità simili.
Tuttavia, tutto questo porta con sé problemi che, prima o poi, avranno un impatto. Tale approccio toglie a chi produce (ma anche a chi consuma) il “controllo”, in favore dell’algoritmo, spingendoci ad assecondarlo con il rischio, se non di un appiattimento, di una uniformazione.
La “bravura” di chi crea contenuti rischia infatti di consistere sempre più nel trovare una via personale per personalizzare e sfruttare in modo creativo trend e pattern premiati dalle piattaforme, piuttosto che nel dar vita a contenuti originali e fuori dagli schemi. Uno spazio più angusto di quanto si possa immaginare, ma che, ad oggi, resta il possibile valore aggiunto della nostra offerta agli utenti.
Campagne da urlo
Come fai a dire no? - Gran Pavesi
Kudos
Con il progetto realizzato per Indigo.ai, Openbox ha vinto la categoria Small & Medium Business dei TikTok AdAwards!
My 2 Cents
Torno da una settimana passata fuori Italia, più precisamente in un villaggio di una compagnia italiana a Capo Verde. Mi ha fatto molto riflettere l’enorme, quasi totale, italianizzazione di quello che ho trovato, quasi a dare una personalizzazione estrema in direzione delle aspettative e gusti degli ospiti.
Se da un lato mi pare ovvio tutto questo, dall’altro mi chiedo dove sia il confine tra questa spinta a far sentire a casa le persone e il rischio di eliminare pressoché totalmente l’anima estera, la novità, data dalla cultura del luogo.
Ciò di cui parlavo qualche settimana fa riguardo alla customizzazione del prodotto e alla necessità di capire e trovare il balance adatto al nostro brand e ai consumatori.
Credo proprio che la risposta, come spesso accade, è nel dove vogliamo andare e nelle necessità di chi ci deve comprare. Perché se è vero che chi va all’estero lo fa anche per vedere luoghi nuovi e lontani, lo è altrettanto che chi scegli una vacanza in un villaggio ha come priorità non tanto la scoperta, il “viaggio”, ma relax e confort (in tutti i sensi). Esigenze che costringono a seguire le sue abitudini e, in parte, portarle fuori Italia.
Capire chi abbiamo dinanzi resta la priorità per far bene questo lavoro. Poche balle.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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