Dal divano allo scroll
Perché oggi il second screen vale quanto (e a volte più di) quello principale
Ciao sono Matteo e benvenuti in una nuova uscita di Digital Scenario.
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Oggi parliamo di Temptation Island e dell’impatto (enorme) del second screen.
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Secondo a chi?
C’è un momento, ogni sera, in cui lo sguardo si sdoppia. La TV accesa.
Il telefono in mano. Due flussi. Un’unica attenzione.
Non siamo distratti. Siamo coinvolti in due modi diversi.
Il contenuto lo guardiamo. Ma anche lo commentiamo. Lo remixiamo. Lo viviamo altrove.
Benvenuti nell’era del second screen — che, diciamocelo, secondo non lo è più da tempo.
Non è multitasking. È co-esistenza narrativa.
Guardiamo una serie e intanto leggiamo le teorie su Reddit.
Seguiamo un reality e lo trasformiamo in audio virale su TikTok.
Viviamo un evento sportivo e, in contemporanea, lo riscriviamo in meme.
Lo show non è finito: è solo in pausa tra uno scroll e l’altro.
Oggi la TV non basta più a se stessa. Il contenuto è solo il detonatore. L’esperienza vera accade nello spazio conversazionale che lo circonda.
“Il contenuto non vive più solo nello show. Vive e si propaga nel commento, nel remix, nella reazione.”
I numeri non mentono. Ma suggeriscono.
Prendiamo ad esempio Tempation Island. In appena 30 giorni i numeri generati sui social sono impressionanti:
265.000 mention
8,1 milioni di interazioni
297 milioni di impression
14.000 video TikTok generati
712 milioni di visualizzazioni
Un reality che, prima ancora che televisivo, è diventato linguaggio condiviso.
Un “villaggio” non solo tra fidanzati e tentatori, ma tra utenti, creator, brand.
Un contenuto che vive nell’eco, più che nel suono.
E allora la domanda cambia: vale di più ciò che guardi o ciò che genera ciò che guardi?
Il second screen è un luogo. Non un dispositivo.
È lì che accade tutto:
Il battito sincopato delle reaction in diretta.
Le storie condivise su Instagram mentre la puntata è ancora in onda.
I creator che pubblicano su TikTok mentre scorrono i titoli di coda.
I brand che provano a inserirsi, spesso goffamente, nella conversazione.
Non è solo attenzione: è identità.
Non guardiamo per sapere. Guardiamo per partecipare.
E il secondo schermo è l’unico spazio dove questo è possibile in tempo reale.
Se il contenuto è la miccia, il commento è la fiamma.
C’è qualcosa di profondamente contemporaneo in tutto questo.
Il contenuto, da solo, non basta più. Deve diventare materia prima.
Un raw file da trasformare in sticker, audio, opinionismo, ironia.
Un pezzo di tessuto che diventa moda — e poi meme — e poi slogan.
E in questo flusso, il marketing non può restare fermo a guardare.
Deve diventare parte del racconto, sapendo che:
“Oggi il media non è più solo il contenuto. È anche il commento al contenuto.”
I format tv diventano driver
L’esempio di Temptation Island ci racconta che certi programmi non sono solo intrattenimento televisivo: sono contenuto conversazionale puro. Questi format possono generare social currency: il programma è pretesto di dialogo, confronto e scontro online.
La polarizzazione non è un effetto collaterale, è un driver.
Marketer Insight: un contenuto così vissuto e commentato è già, per definizione, branded content. Anche se non vendi direttamente nulla, sei nella testa delle persone.
Costruiti per generare tensione
Sì, in. molti casi il sentiment di questi programmi è in larga parte negativo. Ma attenzione: il format è costruito per generare tensione, reazioni, giudizi - quindi il dato negativo è in realtà la prova che funziona. Le persone si indignano, si arrabbiano, ma continuano a guardare e commentare.
Marketer Insight: il sentiment negativo non è un errore di comunicazione, ma un elemento di engagement. L'indignazione diventa conversione culturale.
TikTok, un vero e proprio second screen
TikTok si conferma il palcoscenico principale della reaction economy. Non solo contenuti ufficiali, ma migliaia di video generati dagli utenti - meme, reaction, POV, drammi raccontati in stile comedy. Il reality si trasforma così in linguaggio nativo della GenZ.
Marketer Insight: se non sei "TikTok-narrabile", oggi non sei rilevante. Temptation Island lo è eccome: ogni episodio diventa materiale raw per contenuti virali.
I trigger emotivi
Quando un programma “funziona” crea un vortice di polemiche, meme e indignazione. Ma c'è un aspetto meno rumoroso ma altrettanto potente: la carica emotiva che questi riescono a innescare nel pubblico. Dietro al voyeurismo di facciata, esiste infatti una componente più intima, quasi catartica, che ha a che fare con il modo in cui lo spettatore si specchia - consapevolmente o meno - nei frammenti di relazioni altrui.
Centrale in tutto questo è l’empatia che si crea tra gli utenti/spettatori e i protagonisti del reality.
Sempre tornando a Temptation Island: non si guarda solo per giudicare, ma spesso per cercare risposte. "Mi sarei comportato allo stesso modo?" oppure "Anch’io ho provato quella sensazione". L’identificazione è forte, soprattutto tra i più giovani, che vedono nei protagonisti non eroi o anti-eroi, ma persone comuni che sbagliano, cedono, lottano. E questa autenticità genera un senso di vicinanza inaspettato.
Marketer Insight: il reality funziona perché è una narrazione dinamica fatta di micro-casualità sociali. I creator e i brand possono ispirarsi a questo modello episodico e reattivo.
I brand devono imparare a stare nel mezzo.
Tra ciò che accade e ciò che si dice. Tra la scena e la caption. Tra il gesto e il significato che gli diamo.
Chi comunica oggi non può pensare al second screen come a un’estensione.
Deve progettarlo come spazio di prima linea.
Perché è lì che l’utente è più vulnerabile, più coinvolto, più pronto a reagire.
Chi guarda in silenzio oggi è l’eccezione.
Chi commenta è la regola.
Chi sa farsi commentare… è rilevante.
Proprio per questo anche le integration di brand devono valutare tutto questo per essere funzionali e performanti. Non possiamo più solo accontentarci che i telespettatori vedano il nostro brand, dobbiamo spingere perché questo sia centrale anche in questa “seconda vita” del programma.
Un cambio di paradigma, silenzioso come tutte le rivoluzioni culturali.
Il second screen ha cambiato tutto, senza far rumore. Nessuna conferenza stampa, nessun titolo in prima pagina. Solo milioni di gesti quotidiani.
Un like.
Un tweet.
Un POV girato al volo.
Una reaction taggata tra amici.
E così, lentamente, il secondo schermo ha preso il posto del primo.
Non nel salotto. Ma nel cuore della conversazione.
Forse è arrivato il momento di smettere di chiamarlo “secondo”.
È solo un altro modo di vivere ciò che accade.
Un altro modo, sempre più vero, di essere parte di ciò che guardiamo.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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