Dammi tre parole: condivisione, community, distribuzione
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Condivisione, co-creazione, community
Viviamo in un’ecosistema con un livello di interconnessioni a dir poco elevato. Una rete fatta di collegamenti personali, di lavoro, ma anche e soprattutto di contenuti e, quindi, di tematiche.
Un collante digitale di enorme forza che tiene uniti network e community, e si fonda su una volontà semplice quanto estremamente complessa, quella di condividere. Una volontà di confronto certo, ma anche e soprattutto di partecipazione, di affinità, di accettazione che contraddistingue sempre di più gli utenti, in particolare quelli più giovani (GenZ).
Le persone desiderano scegliere, prendere posizione e questo ha un ovvia ricaduta sul loro utilizzo dei media digitali, sui contenuti che producono e sul loro rapporto con i brand. Semplificando, ma non troppo, gli utenti non sono più riconoscibili in cosa comprano o nel loro stile di vita, quanto più su ciò che condividono. Da una causa a momenti di vita quotidiana, tutto è segnato in tal senso.
Un fatto che trova significato nell’attitudine degli utenti a creare contenuti, ad essere protagonisti in tal senso, spinti anche dall’affermarsi di piattaforme che offrono occasioni e strumenti. Ad esempio la metà dei Gen Z (USA) ha dichiarato sentirsi più creativa rispetto alle generazioni precedenti e sentire l’utilizzo della creatività come essenziale, anche nella loro vita quotidiana.
Una creatività che diventa quindi mezzo di condivisione e, conseguentemente, di relazione con glia altri utenti.
Un’attitudine che sposta in modo netto il rapporto anche con i brand, portando a una relazione in ottica paritaria, collaborativa quasi e che porta ad passaggio essenziale, quello verso la co-creazione, modalità fondamentale per esaltare sia la spinta creativa che la volontà di condivisione degli utenti.
Una via che si fonda su una comunicazione netta, trasparente, reale dei valori e del purpose aziendale perché fondato su una volontà di scelta, partecipazione capace però di portare un livello di relazione ed engagement elevatissimo, con risvolti enormi su molti aspetti aziendali.
Relazione e condivisione che portano con sé un player imprescindibile: la community, network con legami fortissimi, per lo più basati sulla condivisione (appunto) reale e forte di idee, cause, obiettivi.
Sarebbe infatti limitante ridurle a semplici spazi tematici: i membri di una community hanno un senso di fiducia, appartenenza e cura reciproca ma, soprattutto, un senso profondo della propria individualità che riesce però a trascendere in collettività. Una collettività orientata che discute, crea, influenza.
Il futuro dei brand online passa per questo anche da saper plasmare una proprio community, orientata non verso gli obiettivi di brand, sia chiaro, ma nella direzione di ciò che il gruppo può raggiungere insieme.
Community che non vanno per questo “gestite” quanto ispirate, messe cioè in condizione di dire la propria e far sentire la loro voce. Qualcosa di facile nella teoria, molto meno nella pratica dei brand perché basato sulla necessità di condividere lo spazio, il controllo, in parte anche il potere decisionale. Sono infatti le scelte che fanno e faranno i brand a delineare le community, non tanto la gestione/controllo elle stesse.
Campagne e progetti da urlo
Apple - The Greatest
We Road - OOH
My 2 Cents
Settimana scorsa ho avuto modo di essere all’evento di OBE e Giffoni Innovation Hub dedicato ai “corti” fatti da brand. Un’attività di nicchia sempre più in crescita, ma non è questo ad avermi colpito.
Uno dei punti chiave emersi non è tanto la qualità o la parte creativa, quanto le necessità e l’importanza rivestita dalla distribuzione. Un tema, a mio avviso, centrale non solo lato corti e su cui troppo poco si riflette.
Perché se è vero che l’attenzione verso la produzione e la qualità dell’output è una necessità lo è altrettanto capire come far sì che questo possa arrivare alle giuste audience, sia in termini qualitativi che quantitativi, così da valorizzarlo e dar senso all’investimento fatto.
Un issue rilevante in molte tipologie di contenuto oggi, basti, ad esempio, pensare ai podcast che rischiano, senza una doverosa strategia di distribuzione, di restare “ghettizzati” in un angolino.
Non è un caso l’utilizzo, in questi contenuti, di creator e influencer, una via, sfruttandone notorietà e follower base, per guadagnare visibilità, ma non può e non basta ridurre la distribuzione a questo. Servono strategie più profonde e trasversali.
Content is the King, but distribution is the Queen
L’insight della settimana
L’importanza degli acquisti d’impulso nel Black Friday - Globalwebindex
Approfittare delle offerte quotidiane è una mentalità dominante negli ultimi due anni rispetto ai livelli pre-pandemia. Questo fenomeno si è riflesso in altri aspetti della vita, come gli acquisti d'impulso.
I consumatori più giovani tendono a comprare senza pensare alle conseguenze e al prezzo. La generazione Z ha il 24% di probabilità in più di acquistare immediatamente qualcosa se gli piace rispetto al consumatore medio.
Il 49% della Gen Z e dei Millennials effettua un acquisto d'impulso entro un mese nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Canada.
Kudos
Un bravissimi a BCube e Unieuro che hanno vinto il GOAT ai TikTok awards Europa.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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