Destinatari
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Oggi parliamo di destinatari e di stakeholder… ma anche un po’ di Olimpiadi.
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Sappiamo davvero a chi vogliamo parlare?
In una conversazione, non c’è aspetto più importante del capire a chi ci stiamo rivolgendo, a chi vogliamo parlare appunto. Certo, a volte la voglia di comunicare va oltre, ma in una conversazione che cerca di avere un fine, non possiamo mai prescindere dall’identificare il nostro destinatario.
Da lì passano non solo il senso e l’obiettivo della nostra comunicazione, ma anche molto altro: stile, linguaggio, canale, formato. Destinatari che, proprio per questo, devono essere reali, nel senso di funzionali e il più definiti possibile. Se alla domanda “a chi vogliamo parlare?” la risposta è “molti” o, peggio, “tutti”, la verità è che non abbiamo alcun destinatario e la nostra comunicazione non sarà una conversazione, ma un soliloquio con un’utilità pari a zero.
Capire a chi vogliamo/dobbiamo parlare, però, non è sempre una cosa così ovvia o semplice come possa sembrare. Non c’è brand che non vi risponda sul chi sia il suo pubblico, ma tale risposta spesso nasconde certezze più costruite che concrete. La risposta, infatti, non può essere interna al brand, ma solo esterna, dettata dal mercato. Peggio di non sapere a chi parlare, infatti, c’è solo il credere di saperlo, fatto che rischia di spingerci in direzioni non funzionali. E proprio per questo serve, come in molte altre attività, un’analisi.
Per molti brand (ma anche professionisti), la risposta rischia di essere connessa al mondo social (gli utenti x o y) o, quando più legata al reale, rischia di portare ai soli clienti o potenziali tali. Una concezione non tanto sbagliata quanto limitata, con tutto ciò che ne consegue.
Si comunica per mille obiettivi (si parte sempre da lì), spesso non solo di vendita, fatto che ci deve ricordare un punto determinante che riguarda una visione più ampia oltre che profonda: il concetto di stakeholder. Con ognuno di essi, per mille motivi, abbiamo e avremo sempre necessità di comunicare e relazionarci, esigenza da cui derivano attività e contenuti estremamente diversi. Diversi come i vari stakeholder, diversi come le caratteristiche che essi hanno.
Non posso parlare a un fornitore come a un’istituzione o alle mie risorse interne. Cambiano infatti le finalità, le relazioni, ma anche i rapporti di forza, elementi che sono vitali da considerare quando realizzo una campagna. Potrà sembrare ovvio, certo, ma lo è meno di quanto si pensi in uno scenario che pone spesso troppo focus sul solo cliente o su pubblici fin troppo ampi.
Me ne sono accorto la scorsa settimana in un dibattito scaturito su LinkedIn, inerente alla scelta di WeBuild di utilizzare la pugile Angela Carini come volto della sua campagna attuale. L’atleta è stata protagonista di un forte buzz sui social per il suo match olimpico con Imane Khelife e le polemiche derivanti, che hanno visto coinvolta anche la politica.
La campagna cerca di sfruttare l’onda lunga di Parigi 2024 e di evidenziare l’affinità tra lo sport e i suoi valori e quelli del brand. Impegno, dedizione, gioco di squadra, solo per citarne alcuni.
Tutto torna, ma è indubbio che la scelta della Carini sia particolare. Sia perché è un’atleta poco nota/rappresentativa, che non ha raggiunto risultati di rilievo a Parigi, sia per l’impatto reputazionale derivante dal suo ultimo incontro e dalle citate polemiche. Una scelta, come detto da molti, non così comprensibile: il buzz su di lei è alto (comunque già in calo), ma soprattutto fortemente polarizzato e quindi complesso da sfruttare o, quantomeno, rischioso.
Una scelta che in pochi avrebbero fatto. Ma, forse, questa valutazione non è corretta perché vista sugli stakeholder sbagliati. Me lo ha fatto pensare Domenico Ioppolo in un commento: se questa scelta non fosse fatta pensando a me, agli utenti, ai possibili clienti, ma ad altri portatori d’interesse?
Il caso Carini-Khelife, per i temi che ne derivavano, ha infatti scatenato un forte dibattito anche politico, con molti esponenti dell’attuale governo più volte impegnati in sua difesa. Per una realtà come Webuild, il principale stakeholder, visto il suo impegno nelle grandi opere, sono proprio le istituzioni. La scelta di Carini, quindi, potrebbe essere un messaggio ad esponenti di queste, dando una sorta di tacito appoggio o, comunque, dimostrando affinità.
Non abbiamo e non avremo certezze in questo senso, certo, e forse neanche ci servono/interessano. Il punto è che la riflessione di Domenico mi/ci ricorda quanto la platea dei nostri possibili interlocutori sia ampia e fortemente differenziata, e che questo resta un fattore determinante da considerare. Perché non si vive di soli utenti, così come non tutto va nella direzione della vendita ora e subito. Un po’ come per il branding, ci sono tessere del nostro domino che hanno una valenza con tempi più lunghi e che lavorano sì per il fatturato, ma in modo diverso e comunque indispensabile.
Alcune considerazioni finali a riguardo:
Mappiamo correttamente OGNI stakeholders, ma soprattutto, la loro rilevanza per noi nei vari spetti del nostro business
La scelta del canale, in quest’ottica, è ancora più decisiva per far bene
Se la finalità è riferirsi ad uno specifico stakeholder possiamo anche rischiare qualche possibile turbolenza a livello reputazionale, ma con grande attenzione e coscienza. Webuild può permettersi (forse) la Carini avendo per loro meno rilevanza l’utente finale, quello maggiormente influenzato da temi polarizzati. Altri (e qui cade il forse) meno, molto meno
Campagne da urlo
Parigi 2024 - Beretta
Insight del Mese
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Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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