Di pandori, reputation e di un influencer marketing che non muore (o risorge in meglio come Gandalf)
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Oggi parliamo del post Pandoro Gate o, meglio, del suo impatto sulle scelte di utenti e brand e dello scenario dell’influencer marketing in Italia.
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Di pandori, reputation e di un influencer marketing che non muore (o risorge in meglio come Gandalf)
Mi ricordo bene. C’era chi aveva già gridato alla “caduta degli Dei” o la celebre “l’influencer marketing è morto” (con la SEO e tutto il resto). Al di là dei paternalismi da click Bait credo sia sempre più utili fermarci e provare a capire andando oltre la superficie.
Il Pandoro Gate è stato senza dubbio uno spartiacque nel mondo di influencer e creator o, forse e più corretto, sulla percezione degli stessi. Ma più che sancire la fine dell’influencer marketing ha segnato un cambio netto nell’approccio, massimizzando però (va detto) alcune tendenze che erano già in corso e che probabilmente sarebbero comunque arrivate dove dovevano. Magari meno rapidamente, ma senza dubbio sarebbero diventate comunque attuali.
Ma andiamo per gradi. Se partiamo dall’inizio e quindi dall’impatto che il Pandoro Gate ha avuto sull’influencer marketing e le scelte dei brand di continuare o meno a investire in attivazioni con creator e influencer la risposta è molto eloquente: zero. Almeno lato quantitativo (e nella sua banalità da qui si inizia).
Mettendo a paragone questi primi 6 mesi dell’anno con i primi sei mesi del 2023 ci accorgiamo che il numero di contenuti sponsored (#ad, #adv, #giftedby, ecc) è aumentato del 12%, sintomo di una fiducia dei brand immutata. Cresce Instagram e, addirittura raddoppiano le attivazioni su YouTube e TikTok.
Ma a non essere calata è anche quella degli utenti: le interazioni, parametro superficiale, ma utile perché basato sull’approvazione degli utenti stessi, sono cresciute addirittura del 26,6%. Un dato addirittura migliore di quello relativo ai contenuti organici nei mesi successivi al caso Ferragni. In quel caso le interazioni medie di creator/influencer era restano pressoché stabile con una diminuzione solo nei profili più bold, sopra il milione di follower.
Per avere una conferma più netta servirebbe il trend degli investimenti, certo. Ma possiamo comunque iniziare a fare qualche riflessione:
Il buzz del Pandoro Gate, come avevo già accennato e condiviso qui e su LinkedIn, è stato più mediatico che “popolare” con un lifetime di meno di due mesi. Questo si traduce in un impatto/influenza sugli utenti più limitato di quello che si possa pensare (basta vedere anche il calo minimo di follower di Chiara). Un impatto, che proprio a causa dei media, è e sarebbe invece stato maggiormente rilevante per i brand coinvolti in sinergie lavorative.
Le performance, stabili se non in crescita, lato interazioni e views ci raccontano che non si è “calato” tanto neanche come dimensione dei creator/influencer coinvolti. Difficile solo con nano/micro fare questi numeri.
Ne conviene che anche lato investimenti, probabilmente, siamo quantomeno stabili ( a meno di grosse diminuzioni delle fee di influencer e creator che, per esperienza diretta, non ci sono state). Anche gli hashtag della digital chart slegati da compenso economico come #gifted e #giftedby hanno avuto cambi minimi non portando quindi saving lato budget.
Il forte focus lato autorità degli ultimi mesi ha senza dubbio spinto i brand ad una maggiore attenzione rispetto alle regole. Quindi è vero che aumentano le attivazioni, ma anche che, in parte, potrebbero solo essere contenuti prima in dark diventati adesso “in chiaro”.
Lato canali si conferma il ruolo predominante di Instagram (l’88% dei contenuti sponsored sono qui), ma è interessante notare come sia, seppur di poco, in calo rispetto ai primi 6 mesi del 2023 (93,4%), ma soprattutto come questo suo peso sia meno rilevante se parliamo di interazioni generate (61% di queste arrivano da Instagram appunto). TikTok “cuba” il 32,7% in leggera crescita rispetto al 2023 (30,9%), confermando non solo l’importanza del canale lato IM, ma soprattutto una maggiore propensione creativa, verso il contenuto, e quindi orientata ai creator.
Un corollario al punto precedente, l’attenzione allo spunto creativo, porta un netto aumento di utilizzo (e impatto) dei Reels. Se prima rappresentavano il 30,9% dei contenuti #åd su Instagram in questi primi sei mesi hanno toccato il 42,4%. Anche le interazioni generate aumentano di un consistente 15,3%.
Ne consegue uno dei passaggi chiave post Pandoro Gate che però, come accennato, era già ampiamente in corso: la centralità del contenuto. Questo orienta, spesso, la scelta su figure diverse, non nuove in senso assoluto, ma new entry per molti brand. Questo non significa per forza l’abbandono di talent e figure più simili agli influencer, ma che accanto a queste trovino spazio anche profili più vicini a quello del creator.
Una scelta motivabile anche nella loro meno esposizione “fuori dai social” e che limita, in parte, i possibili rischi reputazionali in caso di crisi. Certo, si lavora con un impatto più focalizzato sulle piattaforme dove si opera, senza nessun possibile ecco esterno e con una minor, se non assente, social proof, ma anche riducendo possibili contaminazioni reputazionali da touchpoint a touchpoint (Selvaggia Lucarelli a parte).Il concetto di reputation in un contesto odierno così fluido, atomizzato, cambia in modo radicale sia in forma che lifetime, ma ancor di più negli elementi che la plasmano e la modificano. Persino l’indignazione (momentanea) sembra avere ricadute così forti lato vita digitale degli utenti, come se ci fossero più piani distinti e con una bassissima permeabilità. E non è solo una questione di memoria corta, ma qualcosa di più profondo e connesso al modo in cui si formano, oggi, le nostre percezioni.
Qualcosa che va senza dubbio compreso perché quelle stesse percezioni sono strettamente connesse a come/cosa acquistiamo.
Campagne da urlo
The Code - Dove
Insight del Mese
Oggi, in modo molto discorsivo, vi segnalo alcuni insight interessanti dall’ultima versione del Report Brand & Marketer di ONIM appena rilasciato (lo trovate qui).
Un dato su tutti, la rilevanza del budget e l'impatto che questo ha su tutte le conseguenti scelte (numero attivazioni, tipologia, scelta creator). Un punto che deriva in primis dal crescente costo di creator/influencer, sempre più centrali e consapevoli del loro ruolo, e dall'impatto che questo ha sui budget comunicazione/marketing dei brand. Budget che, con il 60,7%, è la principale motivazione di chi non ha attivato campagne con influencer e creator nel 2023 e maggiore limite/problematica (59,5%) per quei brand che, invece, ne hanno attivate.
Non è casuale infatti che il 39,4% degli intervistati abbia investito tra il 10-30% del proprio budget marketing per attività di IM.Una delle conseguenze più evidenti di ciò è il numero di attivazioni per brand che si riduce. Il 48,7% degli intervistati ha infatti realizzato tra 1 e 3 progetti nell’anno anche se resiste uno zoccolo duro di marchi (18,9%) che hanno un forte orientamento all’IM con oltre 10 progetti annuali sviluppati.
Non a caso il 43,2% dei professionisti intervistati dichiara che il taglio medio dei progetti sia sotto €10.000.Si parla tanto di dati e approccio data-driven, ma nno è poi così reale la volontà di mettere in pratica la cosa. Non è infatti casuale che tra le maggiori criticità ci siano la selezione di creator/influencer e la misurazione. Ma a questa necessità non seguono azioni concrete, tanto che solo il 35,1% utilizza tool dedicati nella fase di scouting.
Nel 2024 e con i budget oggi investiti è davvero complesso da accettare.Un Influencer Marketing sempre visto come strumento per l’upper funnel, ma che comincia, anche a causa degli investimenti necessari, a essere più concreto lato obiettivi. L’awareness resta il principale fine (70,3%) ma in calo rispetto all’anno precedente (81,8%), così come la volontà di aumentare l’engagement nei canali social (dal 45,5% al 29,7%), ma sale, l'obiettivo di incentivare gli acquisti (dal 45,5% al 51,4%), cioè la parte più bassa del funnel. Un dato che si conferma anche guardando ai KPI solitamente più utilizzati per valutare i risultati di campagna: accanto ad engagement e audience raggiunta inizia ad essere sempre più rilevante l’impatto sulle vendite.
NON È L’ANNO DEI NANO/MICRO INFLUENCER E NON LO SARÀ MAI (perché ogni obiettivo è diverso e necessità di figure differenti): Se è vero che il 48,7% lavora con influencer/creator da 10 a 100mila follower, c’è un rilevante 40,5% di professionisti che operano con figure tra i 100mila follower e i 500mila follower.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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