Gramsci aveva capito tutto (anche di marketing digitale)
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L’egemonia digitale dei brand
Molto di quello che ci circonda è in grado di influenzarci. Esperienze, pareri, contenuti. Un mix di elementi che, in modo diverso e con impatto non sempre uguale, hanno un ruolo nelle nostre percezioni e, conseguentemente, nelle scelte.
Qualcosa di assolutamente “normale” e comprensibile che sposta quindi il punto focale sul comprendere quali di questi elementi, e con quale peso, influenzino l’audience d’interesse. C’è poi un livello più alto, 2piattaforme che spesso contengono quei fattori, mettendoli a sistema o, meglio, mettendo a sistema l’influenza generata.
Un buon esempio è quello degli immaginari collettivi, basi condivise di credenze e opinioni che accomunano gruppi di persone e che, nel bene o nel male, ne condizionano pensieri e scelte, diventando spesso parte stessa del percepito e della reputation di un brand, di una persona, di un luogo.
Contenitori che lavorano profondamente, ad esempio, sui nostri bias e che si fondano, molto, sulla credibilità del passaparola, del senso di comune, condiviso e sulla sedimentazione/ripetizione a questa esposizione. Una questione anche scientifica. Basti pensare all’effetto di mera esposizione, studiato dallo psicologo polacco Robert Zajonc, secondo il quale quando siamo esposti ripetutamente allo stesso stimolo sviluppiamo una risposta positiva a quello stimolo. La ripetizione chiarisce, semplifica, rende familiare e quindi porta inconsciamente ad essere valutata positivamente. Gli stessi trend tanto decantati, a pensarci bene, si giovano ampiamente di questo meccanismo.
Nella maggior parte dei casi queste “piattaforme” possono essere spinte, ma non sempre imposte. Posso cercare di veicolare elementi che modifichino un immaginario, lo portino all’attenzione dell'utente e quindi in "primo piano”, ma difficilmente potrò imporlo… o forse sì?
Pensavo al concetto di egemonia sviluppato da Gramsci, come questo sia sempre più attuale e di come i social ne siano uno dei principali driver.
Gramsci ha introdotto il concetto di egemonia per spiegare il modo in cui le élite dominanti influenzano la cultura e le idee della società, rendendo così il loro controllo più accettato e naturale.
Forzato? Se guardiamo all’uso dei social lato politica non così tanto. pensiamo all’ascesa del Movimento 5 Stelle, alla “bestia” di Salvini o a Trump.
Nei giorni nostri, i social sono diventati uno spazio di interazione culturale significativo, e le dinamiche di potere che emergono in questo contesto possono essere considerate come un'egemonia digitale. Le influenze predominanti su queste piattaforme, come i trend, gli influencer e le narrativa popolari, giocano un ruolo chiave nel plasmare le opinioni e i comportamenti delle persone.
In termini di marketing, comprendere e capitalizzare queste dinamiche di egemonia digitale è cruciale. Le aziende cercano di creare una presenza online che non solo rispecchi i valori della propria marca, ma che si integri anche in modo armonioso con le tendenze e le conversazioni dominanti. Diventare "egemoni" in questo contesto significa conquistare l'attenzione e l'approvazione del pubblico attraverso la costruzione di una presenza autentica e rilevante anche sui social media. Tanto rilevante da essere “normale”, da entrare sottopelle per certi versi.
Concetti che si legano bene alla figura degli opinion leader e degli influencer. Questi, per certi versi, possono essere considerati portatori di egemonia digitale. Spesso la sfruttano, altre volte aiutano a “costruirla”. Non a caso collaborare con loro permette alle aziende non solo di accedere a pubblici più ampi, ma soprattutto di sfruttare l'influenza che questi hanno sulla percezione e sul comportamento dei consumatori.
La creazione di contenuti che si integrano organicamente con le conversazioni e le dinamiche prevalenti sui social è per questo fondamentale. Questo non solo consente alle aziende di mantenere la loro rilevanza, ma contribuisce anche a costruire una connessione più profonda con il pubblico, contribuendo così a consolidare la “propria” egemonia digitale nel contesto prima online e, in un secondo momento, anche nella vita reale.
Non è casuale che molto di quanto fatto, lato comunicazione, dai brand negli anni sia ormai parte stessa del nostro tessuto culturale: jingle, spot storici, iniziative… gli stessi prodotti. Questi sono parte di quell’egemonia lato brand e sono leve fondamentali su cui è possibile lavorare. Coca-Cola, Apple, Red Bull sono esempi chiari in tal senso.
Un gioco “pericoloso” quello dell’influenzare però, che va gestito in modo oculato, ancor di più oggi , nell’era in cui brand vogliono essere più etici, più civili. Ci riusciranno davvero?
Campagne e progetti da urlo
Stadium Heroes - Heinz
My 2 Cents
Sto per scrivere una cosa che potrebbe sembrare di parte… se penserete così mi spiace, ma me ne farò una ragione.
Leggo della morte dell'influencer marketing e simili dopo il caso Ferragni. E se approvo la riflessione, mi fanno impazzire i salti sul carro del momento.
Vi dico una cosa semplice: smettere o diminuire drasticamente i progetti con creator e influencer (anche quelli non coinvolti da problemi reputazionali) per il problema Ferragni significa che prima questi progetti li facevate non per una reale strategia. Vuol dire che non valutate i risultati ottenuti, l’impatto positivo (o negativo) generato, il ruolo che queste attivazioni hanno avuto.
E in questo caso sono due le strade: o non si sta lavorando bene (male) o quei progetti erano solo una parte “esotica” e modaiola (quasi peggio direi).
I problemi c'erano già e ci sono tuttora, non dirlo è poco oggettivo, ma serve testa. TESTA.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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