I vostri brand si scaldano o restano bruciati dai firestarter della viralità?
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In questa nuova uscita parliamo di firestarter e viralità
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Cavalcare o essere cavalcati (meglio fagocitati) dalla viralità?
Ecco una domanda che spesso mi risuona in mente quando penso ai progetti digitali e, in particolare, a quelli che vedono la messa a sistema di un driver utile a spingerla. Sistemi/risorse utilizzate proprio per questo: dare una leva capace di dare un valore aggiunto rilevante alla campagna, rendendola più visibile, virale (eccolo), coinvolgente.
Ce ne sono molti ed è normale trovarseli di fronte: trend, ricorrenze ed eventi (aka real time marketing), meme, persino tensioni sociali. Nella sua semplicità il ragionamento è chiaro e condivisibile, cavalco il trend del momento per sfruttarne l’hype o la tematica attenzionata (connessa spesso ad una situazione fortemente d'impatto a livello di media) per entrare nel circolo (virtuoso) delle conversazioni e nella volontà degli utenti di trovare materiale sul tema.
Meccanismi di ripetizione, affinità, effetto community che si traducono in semplificazione, in destrutturazione dei messaggi di brand e commerciali e che quindi più facilmente (e grazie al…) trovano terreno fertile.
Questi virus che utilizziamo per facilitare/velocizzare il contagio di un contenuto, se non gestiti correttamente però, lo fanno a discapito delle marche.
C’è infatti un problema in tutto questo. Se non ponderiamo bene la scelta di questi “firestarter” e non li colleghiamo al brand resteranno d’interesse fino all’arrivo di un innesco più “recente” o forte. Il nuovo meme, il tormentone del momento, il sound su TikTok.
Non solo. Il rischio di standardizzazione e assimilazione tra brand, spesso anche competitor, è enorme, appiattendo paurosamente la comunicazione.
Anni fa facevo al SMXL l’esempio del real time marketing per l'uscita dell’ultima stagione di GOT: una miriade di post in cui la marca veniva risucchiata (e coperta) come nelle sabbie mobili.
Ecco di cosa parlo.
Ma la criticità più rilevante è un’altra. In una questione di equilibri precari (e percepiti) può capitare che questi, infatti, inghiottano il brand, restando l’unico elemento di riferimento e di ricordo. Gli utenti riconosceranno e ricorderanno il trend, ma non che dietro c’è la marca/prodotto X. Ricondivideranno il memme senza sapere minimamente cosa fa il nostro prodotto e così via.
Questione di impatto come dico sempre, di fissarci in testa che passiamo messaggi di marca. Non solo intrattenimento o, almeno, non intrattenimento puro, fine a se stesso.
Prendiamo Sanremo. Proviamo a ricordare le attivazioni lato brand e, per ognuna, valutate se a emergere è solo il Festival o anche il Brand. Chi ha “serfato” chi?
Alla fine è Come una ricetta con due ingredienti: se non sono scelti bene uno coprirà il sapore dell’altro. Molto semplice. Il problema è che in questo caso il sapore che non si sentirà è quello del nostro brand.
Anche influencer, creator e talent sono firstarter di viralità e come gli altri descritti possono portare sì molto, ma anche diventare deleteri, eclissando il messaggio di marca. C’è da essere onesti, il rischio c’è e spesso abbiamo assistito a tutto questo. Casi in cui il noto cantante o l’influencer da qualche milione di follower promuove il coraggioso piccolo brand poco conosciuto. Risultato? Botta di visibilità (senza dubbio), ma il contenuto che diventava ad esclusivo appannaggio della figura coinvolta con gli utenti che difficilmente dopo già qualche minuto si ricordavano della marca o del prodotto presentato in collaborazione. Un problema anche di contenuto e creatività, incapace di generare sinergia e mettere il talent al servizio del brand, ma meno di ciò che si pensi. Squilibri così evidenti sono, infatti, poco gestibili ed è quasi mai limitabili.
Un problema che si acuisce non tanto per poca “presenza” del brand/prodotto, quanto nella mancata (o limitata) connessione tra questi e la figura scelta che lascia ancor più “campo” libero alla maggior rilevanza del talent.
Sia chiaro, è abbastanza normale, per la loro natura stessa e il rapporto con follower/utenti, che creator e influencer abbiano una maggiore rilevanza di molti brand/prodotti. Anche quelli con un heritage e un dna forte, riconoscibile corrono il rischio, in contenuti oggi dal formato “mordi e fuggi” (e questo è un altro problema) di risultare poco riconoscibili o centrali in attivazioni lato influencer marketing.
Ma come detto la reale issue non è tanto che succeda, ma le dimensioni del fenomeno, il rapporto di riconoscibilità/notorietà che intercorre. È questo che dobbiamo misurare e gestire.
Uno sbilanciamento che può essere anche non “assoluto”, ma connesso ad un particolare periodo in cui il talent/creator è fortemente esposto: una vittoria importante, la notizia di una separazione, solo per citarne alcuni.
Non esistono formule precise di valutazioni. Noi in 40Degrees abbiamo però messo a punto un processo di valutazione per tali situazioni, andando ad analizzare con panel ad hoc e analisi delle conversazioni la differenza di percezione, di riconoscibilità e di esposizione (reach e views) tra marchio e influencer. Se il rapporto supera 1:5 bisogna iniziare a preoccuparsi.
Ciò non significa rinunciare a figure importanti a livello di notorietà, ma valutare se il nostro brand al fit giusto per “reggere” tale peso e farne uno slancio, perché altrimenti ne resterà schiacciato. Ricordandoci sempre che una corretta integrazione del brand può, in parte, alleviare la differenza. Ad esempio l’esposizione di Oppo e Mahmood oggi, dopo Sanremo, è estremamente diversa, ma se creassimo un contenuto in cui i "cellulari nella tuta gold” risultassero di Oppo la situazione potrebbe cambiare, pur consci che ci sarebbe comunque il rischio di essere semplicemente la nuova “collab” dell’artista.
In fondo parlavamo di firestarter e i “fuochi” servono per scaldare noi e l’ambiente, ma vanno anche saputi gestire per non creare degli incendi.
Campagne e progetti da urlo
Dietro Sanremo - Geopop
L’insight del mese
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Il valore delle fandom va ben all'intrattenimento, aiutando a soddisfare i bisogni innati di sicurezza, appartenenza e stima. Ecco i principali benefici:
Il 78% degli intervistati individua nell'evasione (ad esempio, rilassamento, salute mentale, nostalgia) uno dei principali benefici emotivi del fandom
Il 46% cita l'empowerment (ad esempio, acquisire fiducia in se stessi, trovare ispirazione)
Il 42% l'identità (ad esempio, autenticità, riconnessione con l'infanzia)
Il 40% la comunità (ad esempio, rafforzare le relazioni, l'appartenenza, fare amicizia).
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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