Il cammino della fiducia
La rilevanza della fiducia e del valore umano che serve per costruirla
Ciao sono Matteo e benvenuti in una nuova uscita di Digital Scenario.
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Oggi vi parlo di umanità e fiducia, tanta fiducia.
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Il cammino della fiducia
C’è un filo invisibile che unisce contenuti, creator, piattaforme e persone. Un filo che negli ultimi anni si è teso sempre di più.
Non è il reach. Non è l’engagement. È la fiducia.
Ed è da qui che dobbiamo partire se vogliamo capire cosa sia la creator economy e, guardando ancor più avanti, l’economia dell’influenza.
Semplificando, forse, è solo questione di capire dove sta andando il modo in cui i brand scelgono di farsi ascoltare.
Le persone si fidano delle persone
Non è una frase da manuale, è un fatto.
Secondo l’ultimo Edelman Trust Barometer, il 64% degli utenti dichiara che un creator ha aumentato la propria fiducia in un brand.
Numeri che, se ci pensiamo bene, raccontano qualcosa di più profondo: abbiamo bisogno di voci vere, che parlino la nostra lingua, nei nostri contesti.
Il punto non è “essere convincenti”. È essere credibili.
E la credibilità si costruisce — nel tempo, nella coerenza, nella vicinanza. Per questo apro spesso di dialogo, coinvolgimento e, conseguentemente del valore delle community.
Umano, troppo umano
La rilevanza dei creator è stata in questi anni talmente preponderante per gli utenti da da ribaltare i canoni lato aziende: Il creator è diventato spesso il volto del brand. Il suo tono di voce.
Ma essere umani — oggi — è un atto di coraggio. Perché è bello essere autentici… finché non si sbaglia. Finché non si parla troppo. Finché non si tocca un nervo scoperto.
Eppure è proprio lì, in quell’imperfezione così reale, che nasce la connessione più forte.
I brand lo sanno, lo hanno sempre saputo. Spendono milioni per sembrare umani… e molto spesso non ci riescono.
I creator, invece, umani lo sono già. Ed è questo che li rende funzionali.
Ma c’è un equilibrio delicato da trovare. E riguarda tutti. Perché sembrare, anzi, essere più umani non significa perdere la propria identità: i brand devono fare i brand.
Camminare sulla fune
Viviamo tempi “elevati”.
Nel senso che tutto — ogni messaggio, ogni collaborazione, ogni silenzio — può diventare più grande di ciò che è.
Per questo oggi lavorare con i creator significa camminare su una fune sottile.
E per non cadere, serve equilibrio. O meglio: consapevolezza.
Per farlo, bene, serve sempre di più un approccio strategico tra:
1. Comprensione del contesto (sociale, politico, culturale)
Non si può più comunicare “in automatico”. Ogni attivazione vive in un ecosistema complesso, fatto di sensibilità sociali, tensioni geopolitiche, trend di pensiero e microculture digitali.
Capire il contesto non è solo una questione di reputazione — è un atto di rispetto verso le persone che ascoltano e che un giorno speriamo acquistino i nostri prodotti/servizi
Significa chiedersi: cosa sta accadendo là fuori? Quali conversazioni stanno prendendo spazio? Il mio messaggio ha senso oggi, qui?
Il brand che sa leggere il presente comunica con lucidità, evitando cortocircuiti e cavalcando onde autentiche, non forzate (leggasi trend momentanei).
2. Scelta consapevole del creator
Chi mi legge lo sa bene: la selezione di un creator oggi non può (più) basarsi solo su numeri e reach.
Serve un’analisi profonda di valori, linguaggi e comunità. Non a caso in 40Degrees abbiamo sviluppato R.E.L.E.V.A.N.C.E.
Perché il creator non è un semplice media: è una persona con un capitale di fiducia costruito nel tempo. E quella fiducia, se tradita, si spezza.
Collaborare con un creator significa entrare nel suo mondo, condividerne la visione e i confini.
Chi sa scegliere bene, non prende solo una “voce”, ma un alleato culturale.
La nostra bravura deve infatti essere quella di scegliere bene e trovare il giusto modo per mettere al servizio del brand questa visione e questi confini.
Se non viene naturale abbiamo sbagliato la selezione. Punto.
3. Coerenza narrativa e progettuale
Ogni contenuto, ogni stories, ogni reel deve essere parte di una visione coerente.
La campagna non deve sembrare una parentesi pubblicitaria, ma un’estensione naturale del racconto del creator.
E per farlo servono idee ben costruite, ma anche una struttura progettuale che tenga insieme strategia, creatività e obiettivi. Non mi stancherò mai di dirlo
La coerenza è quella cosa che non si vede, ma si sente. È ciò che rende autentico un branded content.
È il motivo per cui qualcuno guarda fino alla fine, con attenzione, e magari decide di cliccare.
La coerenza è infatti lo strumento per mettere a terra lil trust e quindi l’influenza del creator. Senza questa l’attivazione è solo un’isola e questi valori aggiunti si disperdono.
Anche il B2B ha iniziato a parlare il linguaggio dei creator
Tutto questo è talmente e concretamente vero da toccare anche il B2B.
Quel B2B, che oggi guarda ai creator non più come un vezzo da consumer brand, ma come una leva concreta per aumentare awareness, fiducia e — sì — conversione.
I buyer scrollano. Seguono. Salvano. E spesso ascoltano chi stimano.
E chi stimano… è, molto spesso, un creator.
Figure diverse, ma centrali come:
- L’expert-first: l’esperto verticale, autorevole, spesso esterno al brand.
- Il business-first: il professionista che comunica e valorizza anche la propria azienda.
- Il content-first: lo storyteller digitale che parla ai suoi pubblici in modo accessibile.
Chi riesce a integrarli, costruisce, grazie a queste loro qualità riconosciute, brand relevance. Non solo awareness.
Non si tratta (più) solo di contenuti
Oggi il punto non è solo produrre contenuti.
È creare spazi narrativi in cui le persone si riconoscano. E in cui i brand possano entrare senza disturbare, anzi, aggiungendo senso.
La creatività è un mezzo. La fiducia è la metrica. Il creator, il ponte.
Il marketing non parla più. Ascolta.
Siamo in un momento in cui la creator economy e quindi di riflesso l’influencer marketing non è solo marketing.
È relazione, scelta, rilevanza.
È presenza nei luoghi giusti.
È linguaggio condiviso.
È capacità di farsi scegliere — non solo di farsi vedere.
E questo, oggi più che mai, fa la differenza tra chi parla… e chi viene ascoltato.
Campagne e progetti da urlo
Zone Dreamers - On
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Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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