La qualità delle interazioni dipende dal tipo (e grado) di connessione
Gamification, trend, meme: come renderli (davvero) driver di un egngagement qualitativo e connesso al brand/prodotto
Ciao sono Matteo e benvenuti in una nuova uscita di Digital Scenario.
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Cosa succede quando si utilizzano sistemi di gamification o “ganci” per generare engagement? È sempre positivo?
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Non è il gancio, quanto la connessione
La scorsa settimana leggevo, come spesso accade, l’ottima newsletter di Valerio Bassan, Ellissi. La sua riflessione era sull’engagement e le strategie che vengono utilizzate per aumentarlo, senza però riflettere sul suo reale peso e utilità.
In particolare mi ha colpito la parte iniziale in cui descriveva come molte realtà editoriali, ad esempio il NY Times, abbiano da tempo attivato sistemi di gamification per migliorare il coinvolgimento degli utenti. Giochi simili alla cara e vecchia Settimana Enigmistica e che se ci pensiamo bene già trovavano posto in qualche pagina delle versioni cartacee. Qualche però.
Prendendo ad esempio il più famoso, Wordle, ci accorgiamo quanto oggi invece non siano solo prassi, ma quanto il loro ruolo sia diventato estremamente rilevante, quasi ad assumere la valenza di driver primario sia in ottica di attraction che retain.
Questo effetto gamification ha infatti una motivazione chiara e comprensibile, quella di attrarre utenti e tenerli il più possibile sulle properties degli editori, cercando così di facilitare la fruizione del core business, le notizie, e conseguentemente la vendita delle pubblicità.
Arrivo per la mia partitina quotidiana e poi, magari, mi leggo le ultime news. Ma se nella teoria questo funziona, nella pratica diventa maledettamente complesso. Perché il rischio, come ho scritto tempo fa parlando di firestart della viralità (trend, creator, ecc) è che non solo questo passaggio non avvenga (perché meno banale di quanto si pensi), ma che addirittura questi ganci sovrastino il messaggio/prodotto/servizio principale, oscurandolo. Questione di pesi o, meglio, di eccessivo squilibrio degli stessi.
Ma tornando a Wordle e agli altri drive che citavo credo sia spontanea una riflessione su un altro punto chiave, spesso troppo poco esplorato/considerato: l’elemento di connessione tra questi “ganci” e il core del progetto. Al di là infatti delle differenze di peso di cui parlavamo (da non sottovalutare) la reale differenza per rendere questi un vantaggio capace di valorizzare il nostro brand/prodotto sta proprio nel come riusciamo a metterle in connessione, generando affinità e naturalezza di “passaggio”. Un po’ come la differenza tra un semplice placement e l’integration di brand.
Più siamo bravi a creare una connessione alta (e percepita come reale), più siamo in grado di rispondere ad obiettivi più complessi.
Una connessione limitata e debole permetterà di creare contenuti funzionali lato diffusione ed engagement, ma difficilmente produrrà ricadute positive sul brand, siano queste di semplice awareness o di consideration. Un esempio in tal senso è l’adozione di uno dei tanti trend momentanei di TikTok: lo sfruttamento del trend porterà, probabilmente, views e la risposta, lato interazioni degli utenti, ma senza che il brand/prodotto ne risenta. Molto probabilmente gli utenti si ricorderanno di quel contenuto come un video dedicato al trend e non al brand appunto. Faticheranno anche a nominarla forse.
Se la connessione, invece, è alta il gancio utilizzato non sarà fine a sé stesso, ma in grado di attivare anche la discovery o evaluation del marchio diventando un mezzo di engagement nel senso più profondo del termine. Il problema è che riuscire a creare questo tipo di connessione non forzata e senza disinnescare il potenziale del gancio utilizzato è molto complesso e, in certi casi neanche possibile. Nel senso che in questa ottica non tutti i trend o i sistemi di gamification, per esempio, possono essere utilizzati e messi al servizio del nostro progetto.
Se il get ready with me, ad esempio, ha le caratteristiche per essere adattato bene e in modo funzionale, ci sono trend come I just wanna be part of your siiiimphonyyy che non le hanno o le hanno limitate ad alcuni settori/utilizzi. Vale lo stesso per molte attività di real time marketing, per i meme o, ad un livello più elevato, nell’utilizzo dell’ironia spesso più orientata ad acchiappare like che ad avere un ruolo sensato.
Vediamo qualche esempio:
Creare questa connessione, come detto, è alquanto complesso, ma non impossibile. Serve senza dubbio un approccio strategico e una visione più ampia che parte, innanzitutto, dalla scelta dei possibili ganci. Dobbiamo valutarne l’esposizione (né troppo poca né eccessiva), l’adattabilità al nostro ToV e stile, l’affinità con la nostra audience.
Fondamentale è poi lavorare in ottica di integration (torna sempre), cercando quegli elementi comuni su cui lavorare. Sono infatti questi i punti su cui poter far emergere vicinanza col brand e, quindi, connessione. Non amo il real time marketing, ma fare un contenuto dedicato alla giornata mondiale sulla ricerca oncologica ha senso se supporto da anni concretamente un’associazione focalizzata sul tema. Un senso che ci dà quella vicinanza necessaria per rendere concreta la connessione di cui parlavamo. Idem per un brand beauty e i diversi trend legati alla night routine.
Serve poi un grosso lavoro di personalizzazione o, meglio, di brandizzazione così da integrare al meglio il brand/prodotto. Qui dobbiamo essere bravi a trovare equilibrio: può infatti diventare controproducente esagerare con il ruolo del brand o modificare tanto il gancio utilizzato da togliergli i suoi elementi cardine, quelli che lo rendono, appunto, funzionale in termini di attract e retain e che per questo ci portano a valutarne l’utilizzo.
Campagne e progetti da urlo
The Reinfall - Posten
Insight del Mese
Le attività di influencer marketing dedicate al Black Friday
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Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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