Nuove necessità di fruizione, nuove forme di narrazione
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Nuove necessità di fruizione, nuove forme di narrazione
In un momento in cui la richiesta dell'attenzione degli spettatori è più alta che mai, i creator hanno la necessità di cercare nuovi modi per trasmettere le loro idee e storie o, meglio, ottimizzare tale trasmissione.
Senza dubbio le nuove tecnologie sono una delle possibili risposte a questa esigenza, soprattutto quelle relative alle AI generative e alle grandissime opportunità che possono offrire… ma non solo. A volte il valore aggiunto di queste tecnologie sta in un supporto molto meno creativo di quanto si pensi, ma in grado di massimizzare l’esposizione e la fruizione dei contenuti.
Un esempio su tutti è l’utilizzo dell’audio multilingue, ampliando notevolmente le proprie audience potenziali. La lingua resta infatti un limitazione enorme, in particolare per i creator che non sono madrelingua inglese o spagnola. Per il resto invece ci saremmo. Nel senso che abbiamo una figura capace di creare contenuti d’interesse, di saper sfruttare al meglio le dinamiche di piattaforma (molto più globali di quanto si pensi), di dar vita a narrazioni coinvolgenti e, molto spesso, di possedere un know-how verticale su tematiche d’interesse per il pubblico. I video di @Faffapix funzionano in Italia come in Brasile. I contenuti sulla sostenibilità di @Telospiegasofia idem, dato che la competenza è quella. Non necessita di “adattamento”.
Un esempio perfetto di questa strategia è MrBeast, capace di toccare 164 milioni di iscritti in tutto il mondo. Questo grazie ad una strategia multilingue: i suoi video recenti sono stati doppiati in 11 lingue per attirare più spettatori internazionali sul suo canale principale.
È ciò che funziona poi lo puoi anche rivendere. Ha addirittura avviato il suo servizio di doppiaggio multilingue per aiutare a diffondere l'uso dell'audio multilingue all'interno della comunità dei creator.
Lato Italia c’è il caso di Molteni. Il noto youTuber ha infatti iniziato a sperimentare, con discreti numeri, questa strategia. Anche in questo caso un video di come si costruisce una casetta su un albero può, lingua a parte, essere fruibile come proposta a livello globale.
Qualcosa che piace anche agli utenti. Secondo uno studio Ipsos, il 54% dei partecipanti afferma di seguire un creatore che produce contenuti in una lingua diversa dalla propria. Non è un caso che molte piattaforme stiano lavorando per agevolare questo tipo di funzionalità e metterle a disposizione dei creator.
Sorge un solo piccolo problema. Il rischio di appiattire molto la proposta dei creator, uniformandone sin troppo lo stile. In molti casi, infatti, il creator potrebbe “limitare” il proprio stile o elementi caratteristici tipici del suo paese/cultura per renderlo più adatto alla diffusione globale.
Se il multilingue risponde alla necessità di accrescere l’audience, c’è un’altra tendenza sempre più diffusa e che cerca di ovviare ad uno dei maggiori problemi lato creator: l’alto time consuming del creare contenuti. Eh sì, produrre contenuti, nonostante il crescente supporto di tool e tecnologia, è impegnativo, ancor più dovendo “rispettare” i tempi dei social.
I remix sono un trend che va proprio in questa direzione, quella di velocizzare la messa a terra e riutilizzare al meglio il materiale prodotto, spesso anche più volte. Un approccio intelligente soprattutto quando utilizzato per adattare contenuti “nati” per un canale specifico (es. YouTube o podcast) in altre piattaforme. Un ottimo esempio sono i video podcast che diventano brevi clip su TikTok, utili a presidiare il canale in modo adeguato ma anche rilanciare l’output principale quasi con funzione teasing, alimentando al curiosità e spingendo gli utenti ad attività cross-channel.
Anche i meme, sempre più centrali anche nelle comunicazioni di brand, sfruttano i remix. Questi nelle mani giuste, quelle dei creator, non diventano semplici “riutilizzi”, ma qualcosa di nuovo spesso, di migliorativo. Pensiamo, ad esempio, alla quote di Luis Sal “Dillo alla mamma, dillo all’avvocato”.
Secondo uno studio Ipsos, il 65% della Generazione Z ha scoperto che una canzone che hanno sentito per la prima volta in un video di breve durata si è rivelata essere un remix rallentato o accelerato.
Remix che diventano inoltre carburante per gli UGC, dando la possibilità ad utenti, ma ancor di più fandom, di dar vita a contenuti tematici in modo semplice, dando concretezza alla loro passione.
Anche l’utilizzo dei sottotitoli è un’altra importante evoluzione, non tanto nell’impiego quanto nel “ruolo”. Essi non sono infatti più mezzo di supporto, ma parte integrante del contenuto, della sua essenza creativa. Spesso infatti aiutano a dare contesto, sfumature, maggiori informazioni creando una connessione più profonda con il pubblico. I creator li utilizzano anche nei "vlog silenziosi", che non includono alcun commento audio ma si basano su suoni ambientali. Qui sono proprio i sottotitoli a parlare, senza interrompere la natura coinvolgente delle immagini. Nasce l’esigenza, conseguentemente, di un nuovo modo di fare i copy, perché i sottotitoli sono un mondo a sé. Ma proprio proprio diverso. E non è detto che chi sa giocare bene a tennis sia forte anche a padel… lo possiamo pensare, ma così sempre non è.
Sottotitoli che piacciono soprattutto alla genZ: l'86% della Generazione Z guarda i contenuti con sottotitoli almeno una volta al mese, e il 60% preferisce guardare i contenuti con i sottotitoli attivati.
Elementi di narrazione, quelli descritti, che oggi sono plus dei principali creator, ma che anche i brand dovranno imparare e fare propri, rendendoli parte dei loro contenuti. Un passaggio non sempre semplice o banale, ma necessario per ottimizzare e migliorare la proposta di contenuto offerta agli utenti.
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Insight del Mese
Ecco alcuni dati di Beyond Visual Attention, la nuova ricerca realizzata da Omnicom media Group sul tema dell’attenzione.
La videocomunicazione si conferma essere una modalità altamente performante, ma il formato audio non è da meno, in termini di attenzione, infatti, l’adv in questo ambiente perde solo il 2%.
Formati pubblicitari statici (come, ad esempio, i banner) hanno invece performance diverse, con un ricordo intorno al 50% rispetto al formato video.
La televisione gioca ancora un ruolo molto rilevante nell’ambito della comunicazione pubblicitaria, le analisi effettuate da Ipsos ci dicono infatti che il ricordo di un brand visto in TV è 3 volte superiore rispetto al mobile e solo il 17% dei break pubblicitari risulta essere interrotto dallo zapping.
Inoltre, a conferma dell’importanza rivestita dall’audio nell’attivare l’attenzione, ora sappiamo anche che 1 persona su 5 ricorda una pubblicità passata in TV anche se in quel momento non stava guardando lo schermo.
L’attenzione alla pubblicità cala notevolmente in camera da letto dove si registra un 47% di attenzione visiva all’adv, mentre in salotto si arriva al 60%.
Le persone dedicano circa 10” di attenzione attiva agli stimoli pubblicitari in TV, mentre questo numero su mobile si riduce intorno ai 2”
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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