Palinsesti
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Intrattenimento + Integrazione + frequenza= palinsesto
palinsèsto (raro palimpsèsto) s. m. [dal lat. palimpsestus, gr. παλίμψηστος «raschiato di nuovo», comp. di πάλιν «di nuovo» e ψάω «raschiare»].
Prospetto schematizzato delle trasmissioni radiofoniche e televisive, comprendente le caratteristiche tecniche dei singoli programmi e le indicazioni delle ore e dei minuti ad essi riservati, predisposto per un determinato periodo di tempo (così chiamato prob. perché di lettura non molto perspicua, o perché soggetto a successive correzioni e rimaneggiamenti).
Da Vocabolario Treccani
Il concetto di palinsesto è stato per anni un perno dell’intrattenimento o, più precisamente, di quello che eravamo abituati a fruire e che prendeva forma su quei mezzi di comunicazione che oggi vengono definiti - a torto - old, in una dicotomia tanto banale, quanto complessa allo stesso tempo. Per tanti era il canale che delineava la forma del palinsesto, per altri era il palinsesto stesso a divenire il reale mezzo. Una cellula totalizzante nell’apparenza, ma che a voler ben vedere traeva significato (e valore) dagli atomi che la componevano: i contenuti.
Il contenuto è forse l’unico fil rouge che accompagna la nostra società, la nostra cultura, cambiando forme, estetica, canali, ma mantenendo prioritaria quell’intrinseca capacità di educare, emozionare, intrattenere. Un iper connessione o, azzardiamo, una prima forma di augmented reality che è parte di noi e che ci dà livelli di esperienza avanzati.
Ed è proprio in questo scenario tra social media, metaverso e creator economy, che il contenuto diventa ancora più iper e ci spinge a riportarlo costantemente al centro di ogni attività, mettendoci nuovamente in contatto con il suo contenitore principe: il palinsesto.
Palinsesto che trova linfa nel driver dell’intrattenimento, così centrale oggi, tanto da ricordarci costantemente la necessità, per le aziende, di un approccio, reale, al brand storytelling e, conseguentemente, al branded entertainment.
Uno strumento che evolve e che va, oggi, ben oltre il semplice placement, costringendo a porre il focus sul contesto dell’integrazione, da come questa viene costruita all’ interazione con i personaggi e al modo in cui questa è inserita nel tessuto narrativo.
“Comprendere l’andamento dell’integrazione, anche tramite misurazione, significa aumentare al meglio le proprie curve di esperienza” dice Anna Vitiello, esperta di Branded content e direttore scientifico di OBE, l’Osservatorio Branded Entertainment. Un’integrazione che è scintilla di questa narrazione, in cui il brand è comunque sempre co-protagonista, insieme agli altri characters che danno senso al racconto.
Lavorando su un concetto come l’intrattenimento è necessario anche ripensare i tempi, ovvero la corretta scelta di contesto e frequenza. Proprio perché non c’è un tempo “idoneo” in questi progetti, la frequenza e la continuità diventano fattori decisivi, permettendoci di lavorare sottotraccia, quasi a instaurare un’abitudine a cui l’utente/spettatore involontariamente si lega.
È proprio in questa continuità torniamo all’inizio, al palinsesto che deve guidare approccio e progettualità e che dovremo sempre più abituarci ad affrontare, anche in canali “semplici” (solo in apparenza) come i social network.
Campagne e progetti da urlo
Remastered Memories - True Patriot Love Foundation
My 2 Cents
In un’era in cui si parla si data-driven anche per la scelta del caffè, di quanto sia fondamentale lavorare strategicamente e analiticamente, trovo sempre più strano, curioso (divertente), assistere (o partecipare) a gare fantasmagoriche in cui quando va bene, si hanno 2 settimane per realizzare il progetto da presentare.
Trovo un ossimoro usare analisi e strategia e due settimane nella stessa frase. Perché, con tutto il rispetto, nel momento in cui setti questo timing hai presente chiaramente che ti giochi gran parte di quell’approccio analitico. Perché questo tipo di attività sono fortemente time consuming, anche oggi che abbiamo dalla nostra, spesso, strumenti molto performanti. Senza dimenticare che il vero lavoro, quello duro, è la contestualizzazione di quei dati. Un lavoro spesso desk e che non puoi fare bene in poco tempo.
Ne derivano un paio di spunti:
L’analisi o il tool migliore non sono quelli che operano meglio, in modo più ricco e preciso, ma quelli in grado di darti il massimo in poco tempo. Pazienza se così rinunciamo per strada a molto.
La parte di analisi diventa un placeholder per far sentire tutti tranquilli ( c’è) oppure, peggio, per far scena. In una volontà quasi di rassicurazione o dimostrazione di professionalità che non di base da integrare a livello strategico.
Contenti voi…
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Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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