Relazioni sintetiche, coinvolgimento reale
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Oggi qualche riflessione sul tema dei creator virtuali.
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Virtualizzare l’influenza e le relazioni
Se il metaverso pare un po’ vivere un momento di sonnolenza, gli influencer virtuali continuano ad attirare l’attenzione ed essere al centro di molte iniziative di brand. Se ancora non abbiamo assistito (se non in rari casi) al passo che tanti aspettavano, la nascita di influencer virtuali di “brand”, creati cioè ad hoc, è però evidente che sempre più profili “privati” di questo tipo stiano nascendo, complice anche la semplificazione portata dalla tecnologia (app e software).
Non mancano infatti esempi di collaborazioni, soprattutto lato estero (Asia), dove questo tipo di “creator” sono senza dubbio più sdoganati e funzionali. Parliamo di un mercato già stimato a 4,6 miliardi di dollari e con previsioni che suggeriscono un'ulteriore crescita fino a 5,8 miliardi entro il 2025. Non certo poco.
Molti (troppi) valutano ancora il successo e la volontà di utilizzo di questi creator sulla base della novità, dell’effetto wow dato dall’innovazione tecnologica, dal buzz che deriva da un profilo “virtuale”, ma questa idea (molto europea) è a dir poco limitante.
Se inizialmente il valore della novità e dell’hype generato avevano certamente avuto rilevanza, oggi, con il passare del tempo, sono ben altre le motivazioni che spingono gli utenti a seguire e interagire con questi profili così come quelle alla base della scelta dei brand di coinvolgerli lato marketing.
I creator virtuali che “funzionano” hanno tutto un elemento in comune: l’essere reali. Sì, reali. Non tanto nell’aspetto, ma nel racconto del loro esistere e, ancora più importante, nella capacità di essere credibili e funzionali a livello relazionale. Relazione, torniamo sempre lì. Virtuali o meno da chi seguiamo sui social chiediamo questo: coinvolgimento e relazione. Plus che otteniamo attraverso i contenuti che fruiamo.
Si può essere credibili e generare fiducia anche in un contesto totalmente (o quasi) fittizio. L’importante infatti sta nelle premesse e nel riuscire a infondere questo trust nei contenuti appunto, rendendoli affini e vicini ai gusti, alle passioni, agli interessi degli utenti. Sono questa “aderenza” e onestà di partenza a fare la differenza in tal senso, aderenza e onestà che diventano leva anche lato collaborazioni con i brand.
Una creator vituale non può guidare in realtà, lo sanno tutti i suoi follower, ma la relazione creatasi tra lei (Lil Miquela) e i suoi follower la rendono comunque ideale per essere la protagonista del lancio della nuova BMW iX2. Un branded content che gioca certo sul fatto che Miquela è una sorta di evoluzione umana, un next step, così come lo è questa auto rispetto alle altre di marca, ma che ha il maggiore focus sul concetto di umanità e di relazione tra persone.
Affinità che fa anche rima con riconoscibilità e verosimiglianza così da lavorare su pattern che gli utenti possano conoscere e accettare in modo più semplice. Un ottimo esempio in tal senso è quello dei nuovi assistenti virtuali realizzati da Meta, plasmati a livello estetico (e di settore) su personaggi celebri che hanno prestato il loro volto.
Billie, che ha già superato i 100 mila followers su Instagram con il nome account yoursisbillie è la versione artificiale di Kendall Jenner. Le somiglia in tutto, viso, colori, sorriso e perfino movenze. Ma alla base c’è comunque una storia come dicevamo, delle caratteristiche che la rendono credibile non solo esteticamente: il suo “ruolo” è quello di “sorella maggiore” che fornirà consigli agli utenti. C’è poi Bru, alias Tom Brady, che sarà specializzato nello sport. A chiudere poi, per ora, il team ci sono Charli D’Amelio e Paris Hilton.
L’obiettivo dichiarato è quello di facilitare, con questi avatar, il rapporto tra l’assistenza e gli utenti, creando veri e propri “personaggi” che pubblicheranno contenuti, faranno entertainment si interfacceranno con le altre persone come fossero reali. E sta proprio in questi ultimi punti il veri valore aggiunto a livello di engagement, molto più della somiglianza con personaggi noti. Perché quel “plus” prima o poi esaurisce il suo valore… il coinvolgimento e la relazione, se portate bene avanti no.
Ne consegue la necessità, vitale, di non perdere per strada questi elementi se e quando si vuole progettare un proprio influencer virtuale o una campagna che ne coinvolga uno. L’investimento, rilevante, non è e non sarà mai quello relativo alla costruzione degli output (video, immagini, ecc), quanto nel creare una storytelling che sia anche e storydoing, una narrazione del creator virtuale che possa essere credibile appunto e capace di coinvolgere e dar vita a quelle relazioni tanto determinanti anche per gli influencer in carne ed ossa.
Non c’è da stupirsi, quando ci rapportiamo ad un creator virtuale abbiamo solo un input su cui plasmare la nostra percezione: il contenuto. Se con un creator reale possiamo anche valutare il suo percorso, la reputation, il suo background, nel caso di un virtual no. Il suo palinsesto e la sua strategia di content non solo parleranno per lui, ma lo definiranno in modo netto e completo.
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L’impatto delle attività di creator e influencer nel settore Food in Italia nel 2023
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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