Se cambia l’experience dei social, cambia anche il coinvolgimento
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Se cambia l’experience dei social, cambia anche il why delle interazioni
Panta Rei. Tutto scorre e, potremmo dire, si modifica generando un butterfly effect che chi lavora nel digitale non può/deve sottovalutare. Mai. Evolvono le funzioni, gli algoritmi, ma soprattutto la forma di fruizione degli utenti e, parlando di digitale, lo fanno ad una velocità incredibile e in modi spesso dirompenti.
Basti pensare a come gli utenti ricercano informazioni sui brand/prodotti. Se prima questo era terreno solo (o quasi) dei motori di ricerca, oggi non è più così. Vi do qualche dato fresco fresco targato GWI: in Italia il 59,5% Usa i motori di ricerca (aka Google), ma un buon 32,6% utilizza i social network. Dati che già dovrebbero far pensare. Ma se andiamo a focalizzarci sulla GenZ ci accorgiamo ancora di più di questa evoluzione. I dati diventano infatti un 50,9% vs 46,8%. Google e i social sono appaiati e, anzi, c’è assolutamente aria di sorpasso.
Provate a pensare un momento a cosa significhi/comporti un tale cambio e come questo non può non influenzare strategie e creazioni di PED/contenuti. Per darvi un’idea vi consiglio di leggere questo articolo di Wired USA in cui la giornalista per una settimana intera ha utilizzato TikTok lato ricerca.
Lo so, fa un po’ ridere leggere il diario di questa settimana passata su TikTok, ma è importante ricordarsi che non bisogna tanto soffermarsi sui risultati dell’esperimento, quanto sulla modificazione di un’abitudine o sull’imprinting di alcuni utenti. Per molti non c’è infatti il paragone qualitativo tra ricerche in Google o sui social, tanti hanno infatti come base di partenza direttamente Instagram o TikTok e possiedono quindi una sensibilità diversa nel effettuare ricerche o nel valutarne i risultati.
Ma torniamo a noi. Cambia quindi, o meglio si allarga, la funzione di utilizzo delle piattaforme e di conseguenza anche i driver di coinvolgimento per gli utenti. Ciò che spinge all’interazione ha dinamiche implementate, ”aumentate” potremmo dire, sia in termini di obiettivo che di experience. Ripenso a Contagious di Berger e non posso non rendermi conto che l’ecosistema online oggi è proprio un’altra cosa, una nuova dimensione del multiverso. Valuta sociale, stimoli, reazioni emotive, visibilità pubblica, valore pratico, narrazione, punti che per Berger erano fondamentali per rendere contagioso un contenuto e coinvolgere gli utenti, punti che oggi si sono fusi in molti casi, creando una certa liquidità del concetto di engagement. Ma voler essere pratici, e ci provo, credo che oggi le leve più centrali nel parlare di coinvolgimento si possano riassumere in:
Affinità
Intrattenimento
Reach
Utilità
Affinità
Chi si somigli, si piglia diceva Nonna Maria e con tutte le attenzioni e le eccezioni del caso, credo che questa massima sia profondamente vera, anche oggi. In un contesto in cui sono dominanti polarizzazioni, differenze generazionali e profonde modificazioni sociali diventa vitale trovare ed enfatizzare un possibile elemento di somiglianza così da renderlo punto di contatto prima e motivo di coinvolgimento poi. Una questione anche e soprattutto di fiducia perché siamo più inclini verso persone(realtà/contenuti che ci somigliano o che, meglio, vivono/rappresentano situazioni per noi considerabili come comuni, “nostre”.
Questo è uno dei principali motivi che spinge all’uso dei creator, perché permette di sfruttare il loro trust, ma ancor di più quell’alto livello di affinità che per i brand è difficile avere.
Per essere affini bisogna innanzitutto capire chi abbiamo davanti. Un passaggio che necessita di testa e sensibilità, ma anche di analisi profonde e continuative. Consumer intelligence e analisi delle audience su tutti, così da comprendere interessi, behaviour, pain.
Intrattenimento
Lo dico spesso. Siamo nell’era dell’entertainment, a tutti i livelli. In un contesto dove gli utenti posso scegliere, ogni instante, tra un numero impressionante di piattaforme, e canali (non solo social, vedasi Netflix) diventa fondamentale dare una forma tale ai nostri contenuti da renderli capaci di essere prima scelti (anche se su questo punto ci sono molte altre variabili di scelta) e poi apprezzati. Il tempo libero è quello e bisogna lottare per ottenerne anche solo una piccola parte.
Le abitudini di fruizione degli utenti e le caratteristiche di alcune piattaforme e formati hanno spinto molto verso contenuti con maggior attenzione all’intrattenimento. Significa ripensare molto la comunicazione, soprattutto quella di brand: dove c’era un post di prodotto oggi c’è un brande content. Per la serie non parlarmi di quanto sia sostenibile il tuo prodotto, ma mostramelo con uno short, una web series o un esperimento sociale in cui questo è inserito in modo intelligente come placement.
Reach
Una delle poche leve su cui non abbiamo pieno controllo. Un contenuto per generare interesse e interazioni deve essere visto, non solo dalle giuste persone, ma da un numero consono di utenti. Una cosa che nella sua ovvietà ha una valenza cruciale. E in un’era in cui la visibilità organica dei contenuti è sempre più limitata e complessa da ottenere diventa molto difficile lavorare su questo punto. Vale sempre di più la massima che “quando l’uomo con il buon contenuto incontra l’uomo con il budget adv, l’uomo con il buon contenuto è un uomo morto”. Eccessi a parte è però vero che integrare elementi utili alla distribuzione non è un di più, affatto.
Spazio quindi ad un’integrazione sempre più nativa del media, nelle sue forme più evolute, ad una valutazione continuativa, insight alla mano, dei formati più performanti messi a disposizione dalle piattaforme, del produrre pensando di far “contento” anche l’algoritmo, facendo nostri e “cavalcando” trend ed altri elementi di tendenza.
Non solo. Cresce la necessità di attenzione sulla parte testuale dei contenuti, caption in primis, operando non solo a livello emzoionale, ma anche e soprattutto per integrare le keyword per noi (e i nostri utenti) chiave.
Utilità
Un pillar oggi che, in parte, è affine al concetto di valore pratico e che ricalca in maniera perfetta il cambio di fruizione di cui parlavo all’inizio, search sui social compresa. Rispondere alle esigenze degli utenti resta la forma di influenza più alta: se mi sei stato utile me lo ricorderò, guarderò i tuoi contenuti e, con molta probabilità, interagirò con quei contenuti.
Essere utili è poi una forma di coinvolgimento a lungo termine, ma che porta con sé anche la “responsabilità” di farla perdurare e di non intaccare, strada facendo, il legame e la fiducia acquisita. Perché sì, essere utili è un generatore di trust spesso sottovalutato, una fiducia/credibilità di maggior valore perché basata sui fatti, sulla concretezza.
Anche in questo caso diventa sempre più rilevante la fase di analisi, fondamentale per capire le esigenze degli utenti, quindi, come poterle soddisfare.
Campagne e progetti da urlo
The Wall to the Well - Just a Drop
Create Real Magic - Coca-Cola
My 2 Cents
Il successo, concreto, e sancito dalle vendite di #booktok mi fa riflettere profondamente su cosa o meno significhi nicchia. Nicchia è chi la nicchia fa mi verrebbe da dire, nel senso che spesso è solo questione di approccio, di estensione di un interesse verso un’area più estesa, magari per assonanza/affinità.
Il modo in cui rendi sexy un progetto è lo stesso che serve, a volte, anche per settori e verticalità, smettendo di pensare troppo al “proprio” recinto, quasi fosse un vanto distintivo, ma lavorando per comprendere come comunicare per raggiungere e incuriosire un nuovo pubblico.
Perché non credo che l’aumento di vendite di libi sia solo questione di video TikTok, ma è innegabile che questi hanno avuto il merito di parlare dello stesso tema, senza svilirlo, ma con un’angolazione diversa, più funzionale a un pubblico diverso, nuovo.
Insight del mese
Nel report “Influencer trust report”, l’ASCI (The Advertising Standards Council of India) ha riassunto i risultati di una ricerca condotta su 820 intervistati per sondare il livello di fiducia rispetto agli influencer che promuovono brand online.
I risultati della ricerca evidenziano che:
il 91% delle persone si fida della pubblicità in generale
il 79% si fida dell’influencer marketing
la trasparenza e l’onestà sono percepiti come valori chiave per fidarsi di un influencer (63%), seguiti dai contenuti riconoscibili (57%) e storie personali (53%).
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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