Se tutto "aumenta"
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L’era della reputation “aumentata”
In una dimensione digitale e narrativa in continua espansione trovano forme di evoluzione diverse anche strutture che meno siamo abituati a concepire (erroneamente) come dinamiche. Il brand è senza dubbio una di queste, stretto tra un’intoccabilità troppo spesso imposta e, d’altro canto tra esperimenti spesso pericolosi (o poco ponderati). Ma in una realtà che “aumenta” in ogni suo aspetto, diventa determinante capire come dominare/incanalare questo passaggio, cercando di farlo diventare opportunità più che rischio.
La reputation è senza dubbio una degli asset che più vive questa necessità di cambiamento, o meglio, di gestione dello stesso. Un fatto ovvio se pensiamo alla struttura stessa del concetto di reputazione e di come questa sia la sublimazione di elementi estremamente diversi e trasversali per tipologia, autore, canale.
Viviamo infatti una realtà in cui aumentano i touchpoint utilizzati, variano le forme di contenuti inerenti al brand, ma soprattutto in cui le esperienze degli utenti (e conseguentemente il loro journey) diventa iper, ovvero esteso per luogo, tempo, impatto.
Non parlo solo, anche se risulta facile, di metaverso e web3, luoghi nuovi dove i nostri brand vivono e lo fanno in modi tali da rivoluzionare l'impatto sulla reputation, offrendo versioni di essa mai pensate prima. Anche gli stessi contenuti vivono questo “aumento”, generando un consequenziale impatto sulla reputation e l’autorevolezza di chi li produce, e ancor di scostamenti non sempre così lineari.
Questo scostante è senza dubbio uno dei primi e più critici risultati di questa evoluzione, in una frammentazione della reputation spesso difficile da ricomporre con senso. Ricomporre sì, questa è la prima urgenza: la vera sfida da affrontare non è infatti l’esistenza, simultanea, di diverse anime della reputazione, quanto il trovare il corretto filo conduttore capace di unirle e dargli quel significato globale necessario.
Posso anche avere un ceto grado di reputation su Twitch, un altro su TikTok, un altro ancora, del tutto differente, su Roblox con addirittura un avatar a sparigliare le carte, ma dobbiamo far sì che queste “dialoghino” tra loro e possano essere luna il continuamente dell’altra.
Non dobbiamo tanto fermarci a guardare un singolo albero, magari estremamente diverso rispetto a quello vicino, quanto la foresta nella sua interezza perché è questo scenario d’insieme a darci input essenziali.
In un contesto così complesso anche la reputazione dev’essere ripensata, anzi, ricompresa, attuando nuovi approcci utili a valutarne caratteristiche e valore. Non bastano più infatti i vecchi framework o molti degli strumenti che oggi usiamo per mapparla, capirla, interpretarla, perché non in grado di cogliere, letteralmente e analiticamente, il suo essere sempre più augmented. Necessità di incrementare le expertise umane, certo, ma anche quelle tecniche (es. come mappare il sentiment nel metaverso), esigenze che a breve saranno quantomai vitali.
Un punto, quello sull’analisi, decisivo dato che comprendere queste evoluzioni è già quasi un obbligo, ancor di più se pensiamo a quanto la reputation di brand/creator/professionisti va a condizionare progetti e campagne. Serve quindi incrementare l’approccio di analisi e la trasversalità delle figure nei team, permettendoci di poter lavorare su tutti questi fronti “aumentati” nel giusto modo, senza il rischio di valutazione superficiali o, peggio, di dimenticati per strada frammenti reputazionali decisivi.
Campagne e progetti da urlo
Kevin The Carrot - Mamma ho perso l’Aereo
Pantone - Colors Of Love
My 2 Cents
Vedo tanti branded content ultimamente, il che non è certo un male, anzi. Vedo molto meno approcci autotali agli stessi. In poche parole si nota spesso la mancanza del lavoro di un autore dietro quel contenuto, ingrediente decisivo per renderlo realmente ingaggiante.
Una mancanza che si fa ancora più evidente su alcune attività o canali, ad esempio podcast o progetti che toccano la tv o Twitch.
Se da un lato c’è il problema della mancanza di queste figure sul mercato, figure che alle competenze autorali devono unire anche quelle sui media digitali. Cosa non affatto scontata. Dall’altro manca un po’ la percezione di questa necessità da parte dei brand, forse troppo concentrati solo sulla visibilità di prodotto.
Un problema che si risolve, in primis, con l’integrazione di autori in agenzie (e brand), diventando parte fattiva dei team di progetto. L’altro, la limitata disponibilità di tali figure, invece, resta.
L’insight della settimana
TikTok è diventata la piattaforma di social media più popolare per la visualizzazione di video negli Stati Uniti, con una media sulla piattaforma aumentata di nove minuti (+56,6%) nel 2021, secondo la ricerca di Omdia. La visualizzazione media sulla piattaforma nel 2021 è stata di 18,1 minuti. Sebbene il tempo medio di visualizzazione di TikTok sia inferiore alla media di 18,7 minuti di Facebook nel 2021, nel 2022 ci sarà il sorpasso.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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