The age of KOL
Ciao sono Matteo e benvenuti in una nuova uscita di Digital Scenario.
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Oggi qualche riflessione sul concetto di conversione partendo dagli influencer (o KOL) asiatici.
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Da influencer a KOL: i creator e il push all’azione
Siamo pieni di storytelling. Pieni. Lo sono anche le campagne e le tante brand activation che vediamo ogni giorno. Nulla di così tanto errato, sia chiaro, ma non possiamo far finta che questo basti.
Prendiamo ad esempio le attivazioni con creator/talent/influencer. In uno scenario dove ormai i contenuti #ad sono più di 20 Mila al mese serve necessariamente cambiare il paradigma. Un cambio ancor più necessario alla luce anche dei costi sempre più ingenti per dar vita ad una campagna che abbia senso. Con una base di partenza che nella maggior parte dei casi supera i 30K non possiamo più fermarci ad impression e interazioni.
Vendere? Si può fare! Ce lo dicono anche i numeri (fonte GWI)
È la naturale evoluzione dell’influencer marketing, quella che vede il necessario passaggio ad obiettivi più profondi e di business, il passaggio agli influencer come driver lato conversioni. Se ci pensiamo è un po’ un ritorno al passato, ai tempi dei testimonial. Figure note utilizzate sì per dare visibilità e credibilità ad un prodotto, ma sostenerne anche le vendite, magari giocando su processi emotivi come l’emulazione.
Ma torniamo ai creator di oggi. Convertire è una questione, come scrivo spesso, di trust e fiducia, di reale “influenza” potremmo dire, ma anche di strategia e progettualità. Partiamo dalla credibilità: non è cosa da tutti. Esistono creator con performance eccellenti, ma che faticherebbero a vendere un fiammifero. Altri, molto meno high a livello di metriche social, ma capaci invece di avere un forte impatto sugli utenti. Perché? La reale differenza sta nel passare da un pubblico interessato a un pubblico ingaggiato. Da Audience a community. Una differenza non solo di wording: i follower seguono, appunto, i membri di una community partecipano.
Un upgrade non per tutti, che si costruisce giorno dopo giorno attraverso la presenza online (e non solo). I contenuti non bastano, sono certo il firestarter che attira l’attenzione e genera interesse, ma poi serve volontà di relazione e condivisione. Perché sono queste a rendere familiare una persona, credibile e quindi a permettere poi un reale passaggio all’azione.
In una sorta di gioco dei vasi comunicanti il prodotto prende in prestito il trust del creator su quella specifica community, giovandosene anche lato vendita. Più il prodotto ha un valore percepito alto, meno necessità avrà. In caso contrario (come avviene spesso) invece il ruolo del creator diventerà fondamentale. Un buon esempio in tal senso è AirUp, prodotto che ha sfruttato benissimo queste dinamiche e la spinta, non solo di awareness, dei creator.
Non dobbiamo stupirci. I creator sono estremamente centrali nella vita digitale (e non solo) degli utenti e in questi anni abbiamo assistito ad un’evoluzione del ruolo. Non sono più semplici amplificatori di messaggi e tendenze, ma stanno diventando vendor a tutti gli effetti.
Lo dice benissimo Giuseppe Stigliano nella sua ultima newsletter:
In a realm dominated by click-and-buy simplicity, they are offering something different—a heartfelt connection. 🫶
If Amazon is the go-to for speed and convenience, influencers step in as the emotional alternative option, hand-picking content to resonate with their audience—just like a savvy retailer picking top-notch products.
Chiaro. Nella sfida, spesso impari, con i marketplace e nella guerra dei budget adv servono strategie nuove, anche a livello di approccio, per i brand ed è innegabile come creator e influencer possano assumere un ruolo in tutto questo, offrendo un‘alternativa, anche sinergica.
Gli esempi più chiari sono quelli asiatici, in cui il concetto di Key Opinion Leader ha trovato il giusto contesto per svilupparsi. Certo, anche il contesto tecnologico è fondamentale (basti pensare alle piattaforme, alle features di Live Shopping e all’alto livello di integrazione), ma a far la differenza è proprio la leva dell’influenza, il posizionamento raggiunto da queste figure e il trust che ne deriva. Un trust relazionale però, emotivo come scriveva stigliano, capace quindi di veicolare ancora meglio il prodotto e facilitare le vendite. Un processo d’acquisto, tra l’altro, che diventa meno “freddo” e che coccola di più l’utente, accompagnandolo, in parte proprio come succede offline. Non arrivo a parlare di traslazione online dell’esperienza, ma in parte ci siamo.
Non sempre il tutto ad un semplice click di distanza è un plus. Anzi (ma di questo ne parleremo un’altra volta).
Mr Bags, Crazy Xiaoyangge, Zola Zhang sono alcuni di questi super KOL, esempi concreti di come i creator possano essere portatori sani di storytelling, ma anche di storydoing.
Ma non mancano esempi virtuosi anche da noi, senza scomodare la Ferragni. Uno è senza dubbio quello di Elena Rossi, aka vanityspaceblog, una creator attiva sul tema del beauty green. Pur non avendo numeri pazzeschi è stata molto brava negli anni a crearsi una community molto coesa, attiva nel vero senso della parola. Una coesione che ha portato quel famoso trust e che è stato anche incentivo di vendita. Ogni mese Elena creava, contattando brand di valore, delle box contenenti prodotti da lei “approvati” con prezzi scontati rispetto ad un eventuale acquisto in solitaria. Bene. Per mesi e mesi le box sono andate sold out in pochi giorni. Perché? Perché Elena le raccontava, motivava con competenza ed emotività i vari prodotti, metteva a terra la fiducia derivante dalla relazione pluriennale e positiva con la sua community. Un mix di elementi capaci di renderla, agli occhi dei suoi follower, una vera opinion leader, utile non solo per informarsi, ma per fare un passo in più, quello dell’acquisto.
Campagne e progetti da urlo
The Lost Voice - Apple
My 2 cents
Ho sempre pensato che “Quando l’uomo con l’otttimo contenuto incontra l’uomo con maggior budget media, l’uomo del contenuto è un uomo morto”. Sì, bello Content is the King, ma bisogna farlo vedere questo content perché funzioni adeguatamente. Devo però ammettere che sto vivendo in questi ultimi due anni una redenzione sulla via di Damasco. Complice un cambio abbastanza netto di scenario e in particolare l’affermarsi di TikTok e il ruolo, anche alto ads, dei creator.
Il budget resta il budget certo, ma oggi anche lato advertising, soprattutto social, il contenuto giusto diventa davvero vitale anche a livello di performance. Abbiamo casi in agenzia con CPC dimezzati grazie a contenuti realizzati da creator. Dati che sono confermati anche da alcune ricerche di TikTok stesso:
I contenuti dei creator rafforzano il ricordo degli annunci del 27%.
Ottengono percentuali di visualizzazione di 2 secondi dei contenuti superiori del 65% e percentuali di visualizzazione di 6 secondi superiori del 91%.
Migliori tassi di coinvolgimento, maggiori dell'83% rispetto al 12% in più per gli annunci che non includono una partnership con un creator.
Penso che sia davvero questione di saper interpretare al meglio le caratteristiche di canale e le aspettative degli utenti, sfruttando anche quel legame emotivo che molte persone hanno con i creator (e magari non con il brand).
Serve quindi affiancare agli smanettoni del media figure con forte sensibilità anche lato contenuto, integrando in modo realmente sinergico i team. Altro punto è che bisogna lasciar andare qualcosa, nel senso non per forza tutta la parte creativa deve essere in house. Dobbiamo mettere da parte l’orgoglio da creativi e passare ad avere un’ottica più di curatela, scegliendo e gestendo i diversi creator in modo tattico.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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