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In questa nuova uscita parliamo di intrattenimento e come i video brevi possano, in tal senso, essere alleato prezioso. C’è poi, fresca fresca, un’analisi del team Openbox sull’impatto digital e social del Pride.
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The Scroll Stops Here
C’è stato un tempo in cui l’advertising era questione di centimetri. Lo spazio di una pagina su Vanity Fair, i secondi di uno spot durante il Super Bowl, il tempo tra un’interruzione e l’altra su Coronation Street. Oggi il terreno di gioco è cambiato. E ha il la velocità di uno swipe.
Non è più sufficiente esserci: serve saper intrattenere. Ma non nell'accezione più leggera del termine. Intrattenere è creare valore, è saper fermare il pollice, è diventare parte dell'esperienza.
Ma come si costruisce davvero un brand nel mondo dell’intrattenimento breve, iper-scorrevole, iper-creativo?
Gli short sono una buona risposta, ma non assoluta. Non bastano formati brevi e titoli a effetto: servono ritmo, narrazione, linguaggio e ambienti che lascino una traccia emotiva. L'intrattenimento torna a essere l'asset strategico, il catalizzatore del ricordo.
Certo, siamo stati abituati a misurare la frequenza. Ma una delle verità più spiazzanti a cui dobbiamo a arrenderci è che la frequency non salva un’idea debole. Anzi, la stanca.
Il vero motore del successo non è quante volte un annuncio viene visto, ma cosa riesce a far sentire alla prima visione.
L’indifferenza — non il fastidio — è il vero nemico.
Oggi la variabile più predittiva è infatti l'impatto della prima impressione. E non un impatto qualsiasi, ma un impatto che lascia il segno emotivo.
Il nostro Graal oggi è saper incrociare riconoscibilità precoce e intensità dell'emozione generata. Se il brand non riesce a farsi sentire nei primi frame, rischia di evaporare nell'invisibilità.
In un mondo dove tutto può essere saltato, il tempo è un lusso. Ma la sensazione che lasci, quella resta.
Qualcosa di molto diverso a cosa siamo stati abituati a fare. Per troppo tempo si è pensato che per convertire servisse tagliare corto con l'empatia, ma basta poco per rendersi conto che questa narrativa è nello scenario odierno disfunzionale. È proprio l'intrattenimento a guidare la performance.
Creare interesse e coinvolgimento per costruire equity, integrare con intelligenza elementi che spingano all'azione. La dicotomia tra awareness e conversion non regge più. La risposta è una creatività capace di abbracciare entrambi i fronti, nello stesso tempo.
Un video può essere top funnel e bottom funnel. Può generare like e vendite. Basta che sia pensato, non solo prodotto.
Ma il mercato non è un campo neutro. I brand piccoli non partono dallo stesso punto dei big. Non hanno lo stesso bagaglio di fiducia, non possono permettersi di essere dimenticabili.
Per loro, l'intrattenimento è un atto di ribellione strategica. Ma solo se è riconoscibile, coerente, distintivo. L'early branding non è un dettaglio: è una necessità. Asset visivi, tono, ritmo, voce: tutto deve concorrere a dire chi sei, subito.
Se non sei già nei pensieri del tuo pubblico, devi entrare dalla porta dell'emozione.
E se pensiamo che la risposta siano creator e influencer, ci sbagliamo o, almeno, ci fermiamo a metà strada. Sia chiaro, il creator-led è il nuovo standard di attenzione. I contenuti prodotti dai creator performano nella maggior parte dei casi meglio in termini di view-through. L’opportunità è chiara, ma va gestita.
Il brand, se non è integrato con naturalezza nei primi istanti, sparisce. La sfida sta nel costruire contenuti dove la marca sia parte del racconto, non una comparsa obbligata. Dove lo storytelling è sinergico al prodotto, non un pretesto per piazzarlo.
La vera alchimia è trasformare l'influencer in brand narrator. Integrare il brand nel racconto in modo naturale (es. logo in contesto, brand character, jingle) può far esplodere sia l'attenzione che la fluency. Ma servono strategia, regia e un lavoro sartoriale sui creator giusti.
Intrattenere, emozionare, convertire. Non sono più compartimenti stagni. Sono le tre dimensioni di una stessa azione creativa. E il formato breve è lo spazio dove tutto questo accade, in pochi istanti, ma con grande intensità.
Non è questione di essere presenti. È questione di essere ricordati.
Nel 2025, questo significa una cosa sola: pensare ogni contenuto come se fosse il primo. E forse l'ultimo.
Perché nel feed, non c'è seconda chance e per questo il vero ROI non è solo Return On Investment. È Return On Imagination.
Campagne e progetti da urlo
Meet Okto the Octopus - BMW
Insight del Mese
L’impatto social del Pride - Openbox
C’è una soglia, nel marketing, oltre la quale i numeri non bastano.
E c’è un tema – come il Pride – che questa soglia la supera da tempo.
Non è solo un evento. È una dichiarazione, un campo semantico, un acceleratore di posizioni. E, sì, anche un terreno minato.
Il report della unit Insight di Openbox sul Pride 2025 parte da qui: non dai like o dalle view, ma dal tentativo di leggere un fenomeno che, online, continua a generare attenzione. Ma anche polarizzazione, tensioni, opinioni che si scontrano.
I numeri ci sono. Ma sono una superficie.
139.000 mention
35.000 utenti unici
2,7 milioni di interazioni
219 milioni di impression
Cifre che raccontano una cosa sola: il Pride è ancora un tema centrale. Ma è il sentiment a restituire il vero scatto d’insieme.
46% negativo. Un dato che dice molto. Ma non per forza in senso assoluto.
Perché il Pride non divide solo. Il Pride attiva. Muove. Costringe a posizionarsi.
Le criticità? Prevedibili e reali: le polemiche politiche, i temi “estranei” al movimento (Gaza in primis), il dibattito su costi e risorse pubbliche.
I driver positivi? Più profondi di quanto si pensi: il senso di comunità, la celebrazione dell’identità, la partecipazione di volti noti, l’inclusività raccontata come emozione collettiva.
Il Pride non è neutro. Ma non è nemmeno solo divisivo.
È un acceleratore culturale. E i brand non possono più permettersi di trattarlo come un’occasione di calendario.
TikTok lo ha capito meglio di altri
Su TikTok il Pride trova la sua audience più vivace: sono infatti oltre 5.000 i video pubblicati con ben 85 milioni di visualizzazioni, che raccontano la forte affinità tra la manifestazione, i suoi valori e la piattaforma.
Un punto non sempre compreso dai brand.
Analizzando le collabs dei marchi a tema Pride, troviamo infatti un numero limitato di attivazioni, segno dell’attenzione, forse timore, verso un evento comunque divisivo. Sono solo 10 i contenuti realizzati in occasione di campagne di influencer marketing sulla piattaforma, per lo più ad appannaggio di brand beauty. Pochi videoma con performance notevoli: sono infatti 6.8 milioni le views generate.
Su Instagram invece troviamo un maggior numero di attivazioni (29), ma anche risultati più limitati, figli di progettualità non troppo strutturate. I Reel sono il formato di contenuto più scelto (e performante).
Non esiste un solo pubblico Pride
Grazie all’analisi realizzata con Audiense emergono 4 principali cluster di audience coinvolti nel conversato sul Pride:
LGBTQ+ Community - estroversa, social native, recettiva alle campagne marketing.
Antifascist Voices - politicizzate, attive, attente ai valori dei brand.
Italian Freedom - informata, attenta alla reputation e all’utilità del messaggio.
Family & Politics - più chiusa, polarizzata, ma sensibile alle campagne ben costruite.
Il punto? Non esiste un unico pubblico Pride. Esistono sensibilità diverse. E ogni messaggio, per essere rilevante, deve tenerne conto.
Il Pride non chiede visibilità. Chiede posizionamento.
Nel 2025 i brand sono diventati più prudenti.
Meno campagne. Più silenzi. Più attesa.
Un cambio di fase.
Perché attivarsi oggi sul Pride significa prendere posizione.
Esporsi. Essere disposti ad ascoltare, a rispondere, a farsi mettere in discussione.
Non è per tutti. Ma è per chi vuole contare qualcosa.
Chi vuole costruire marca nel tempo.
Chi capisce che la reputazione non si costruisce solo su ciò che si dice, ma su ciò che si è disposti a sostenere quando la narrazione si fa complessa.
Scrivi a info@open-box per avere il report completo sul Pride 2025
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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