Le certezze uccidono (anche nel marketing)
L'impatto delle nostre convinzioni su progetti e campagne
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Oggi vi parlo di bias e di quanto le nostre convinzioni posso influenzare ì, nel bene e nel male, il nostro lavoro .
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Le certezze uccidono (anche nel marketing)
Una delle sfide principali nel marketing digitale è riconoscere che anche i professionisti più esperti possono cadere vittime dei bias. Pensiamo sempre di poterli “gestire” e farne strumento per rendere funzionali le nostre attivazioni, ma credo di poter dire che non sempre è così. Me compreso.
Questo accade quando si assume che il comportamento del pubblico o i trend digitali seguano sempre schemi prevedibili, portando a strategie inefficaci. Come dice Jack Reacher (che ultimamente guardo mentre corro):
Le certezze uccidono
Il problema è che spesso siamo certi (ricordiamoci di Reacher) di essere noi dalla parte giusta del tema, che la ragione, forse meglio la realtà delle cose, sia cosa nostra. La domanda deve però sorgere spontanea: perché non potremmo esserci sbagliati su tutto?
Se abbiamo forti convinzioni sui canali migliori o sulla creatività più efficaci, potremmo essere spinti a trascurare soluzioni alternative che potrebbero essere più performanti o, meglio, più adatte.
Ci pagano per fare questo, vero. Prendere decisioni e responsabilità, ma è inquietante pensare di poter essere nella parte sbagliata della storia. Organizziamo gran parte delle nostre campagne attorno a convinzioni precise: i canali migliori, quale tipo di contenuto funzioni di più, i creator da coinvolgere, come interpretare i trend più idonei. Sarebbe quantomeno problematico pensare che anche solo una buona parte di tutto questo non sia ok.
È talmente tremenda l’idea che credo fortemente che molti marketer evitino di riflettere a fondo sulla possibilità di questi errori “di fondo”.
Non che anche io mi arrovelli il cervello ogni istante pensando di essere sempre nel torto (sarà questione die go), ma capita di chiedermi se le strategie che utilizzo siano sbagliate.
Nei campi in cui abbiamo le “spalle” larghe (quindi certezze - c’è sempre Reacher eh) è facile difendere le proprio scelte, spinti anche da esperienza e competenza. Ma resta il fatto che forse è proprio dove e quando siamo certi che c’è il maggior rischio di non guardare altrove. Quando ho meno convinzione mi rifugio nei dati, ma sinceramente anche qui i bias colpiscono. Sì perché spesso tendo a leggerli e guidarli a mio pro piuttosto che a guardarli con la necessaria oggettività utilizzandoli per capire che ciò che sto progettando forse non è così corretto o almeno non lo è come penso.
Ci sono diversi fattori che influenzano tutto questo:
Tendiamo a far entrare nei nostri ragionamenti (spesso inconsciamente) elementi soggettivi (e distorsivi) come le emozioni e l'interesse personale. Le nostre certezza sono come la coperta di Linus, portandoci a ignorare dati che contraddicono le nostre convinzioni.
Nello scenario e nel rispetto dell’industry (ma anche per autodifesa) preferiamo spesso aderire alle pratiche consolidate e ai trend del momento. Sia per ricevere più “garanzie” che soprattutto per avere future giustificazioni in caso di risultati non ottimali. Gli errori condivisi pesano meno.
L’elemento più rilevante è però la rapidità di cambiamento del settore. Gli algoritmi cambiano, i comportamenti degli utenti si modificano e i canali emergenti ridefiniscono continuamente le dinamiche del mercato. Purtroppo non è detto che le nostre certezze abbiano al stessa capacità e rapidità di evoluzione.
Anche noi viviamo di bolle, online e offline, esposti a certi tipi di progetti, di creatività, di mode, di risultati dichiarati. Tutto questo ha un impatto, anche se spesso non ce ne rendiamo conto e ci spinge in direzioni precise al di là di obiettivi e brief. Un esempio? Molti dei progetti pensati e nati per i premi.
Questi fattori, uniti alla nostra tendenza a ignorare la fallibilità delle nostre convinzioni, creano una condizione di realismo ingenuo: consideriamo le nostre strategie come riflessi diretti di ciò che funziona davvero, piuttosto che interpretazioni parziali e fallibili di un mercato in continua trasformazione.
Io non ho la soluzione, sia chiaro, ma posso dire come cerco di limitare tutto questo:
Team ampliati e diversificati: lavoriamo tutti nel settore e quindi è facile essere condizionati dagli stessi bias, vero, ma è innegabile che più teste, possibilmente con background diversi, limitino molto il rischio di credere troppo alle proprie convinzioni. Quantomeno sarà più facile far emergere qualche possibile dubbio e su quello ragionare.
Testare: non sempre si può, ne sono conscio, ma lavorare con piccoli test/pilota ci permette di toccare con mano la bontà di quanto immaginato. Anche i dati storici sono ottima risorsa in tal senso. Certo, dobbiamo poi essere bravi (e oggettivi) nel valutare i risultati, anche quando sono tremendamente diversi da quanto sperato.
Insight-driven: anche i dati, come ho scritto prima, non ci salvano del tutto da cadere in certezze errate, ma è innegabile che oggi ci mettono in condizione di poter fare valutazioni profonde nella fase di ideazione. Serve oggettività, anche qui, e la voglia di non fermarsi al dato, ma di trasformarlo in un insight, in modo che possa essere utilizzabile che possa realmente cambiare l’inerzia del nostro progetto.
Guardare agli utenti: né a noi stessi, neanche ai brand… dovremmo tutti tornare ad avere il giusto focus su di loro, gli utenti, quelli che con le loro azioni segnano il successo o meno di quanto facciamo. Capirli fa e farà sempre tutta la differenza del mondo.
Campagne e progetti da urlo
Il Regalo Per Gloria - glo
“Il regalo per Gloria” è la serie podcast in stile crime realizzata da glo, in collaborazione con T&Pm Italy, con la voce narrante di Marta Filippi, creator, attrice, stand-up comedian e doppiatrice.
Il team Openbox e 40Degrees ha selezionato Marta per il progetto.
Qui potete ascoltare le prime due uscite.
Insight del Mese
Con ONIM in collaborazione con Inflead abbiamo rilasciato il report su Sanremo 2025. I dati raccolti evidenziano come la presenza sul palco dell’Ariston generi un impatto significativo, non solo per gli artisti e i partner coinvolti, ma anche per le aziende che attivano progetti dedicati, spesso fondati sulla collaborazione con influencer e creator.
Se non ci conosciamo, io sono Matteo Pogliani, sono un esperto di comunicazione e new media, autore, keynote speaker e docente in realtà come NABA e 24 Ore Business School.
Sono Partner e Head of Digital di Openbox, CEO di 40Degrees e uno dei più noti esperti nazionali nell’ambito dell’influencer marketing.
Ho scritto i primi volumi italiani sul tema: “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore.
Sono inoltre founder dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e dal 2021 nel board dell’academy di OBE, l’Osservatorio sul Branded Entertainment e tra i responsabili dell’Influencer Marketing Committee.
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Una scelta interessante per evitare visioni a imbuto è invitare nel team persone con culture e visioni completamente diverse. La ricetta di Olivetti era assumere un laureato in lettere e filosofia, e un economista, per ogni ingegnere inserito in azienda. Questo è anche un modo per scoprire strade, soluzioni, strumenti totalmente inediti per il proprio settore, per acquisire un "edge" che non sia semplicemente fare di più e meglio quello che comunque fanno tutti gli altri